Professione

Le risposte delle Entrate a Speciale Telefisco del 18 settembre 2025

Pubblichiamo le risposte ai quesiti dei lettori e degli esperti rese dall’Agenzia in occasione del convegno dell’Esperto risponde-Il Sole 24 Ore

Le due risposte pubblicate in anteprima sul Sole 24 Ore di giovedì 18 settembre.

Concordato preventivo biennale: professionisti, il blocco per il socio di Stp

Con la circolare 9/E del 2025, l’agenzia delle Entrate si è occupata del caso dell’ente associativo che intenda aderire al concordato preventivo biennale chiarendo che tale facoltà è preclusa laddove, nei medesimi periodi d’imposta, non aderiscano al concordato tutti i soci o associati che, partecipando all’ente associativo, dichiarano individualmente redditi di lavoro autonomo.

La circolare precisa, tuttavia, che «è fatto salvo il caso in cui non risultino approvati gli Isa per l’attività esercitata dal professionista partecipante». Si chiede se lo stesso chiarimento possa essere esteso anche ai casi in cui gli Isa, pur essendo stati approvati, non siano concretamente applicabili.In tal caso, il professionista potrebbe accedere al concordato preventivo biennale per il biennio 2025-2026, anche se la società tra professionisti di cui fa parte non potrà aderirvi, in quanto esclusa dall’applicazione, nonostante l’esistenza di un Isa approvato per l’attività esercitata?

Nella circolare 9/E del 24 giugno 2025, nel commentare le novità introdotte dal decreto legislativo 81 del 12 giugno 2025, all’articolo 11 del Dlgs 13 del 12 febbraio 2024, ed, in particolare, la disposizione che prevede l’esclusione dal concordato preventivo biennale per il titolare di reddito di lavoro autonomo laddove non aderisca al concordato anche l’associazione, la società tra professionisti o la società tra avvocati partecipata, è stato chiarito che «è fatto salvo il caso in cui, per l’attività esercitata dall’associazione, società tra professionisti o società tra avvocati, non risultino approvati gli Isa».

Al riguardo, si precisa che la fattispecie a cui si fa riferimento nella circolare 9/E, ossia il caso in cui «per l’attività esercitata dalla associazione, società tra professionisti o società tra avvocati, non risultino approvati gli Isa», riguarda le ipotesi nelle quali la società tra professionisti dichiara il reddito d’impresa, mentre l’Isa previsto per l’attività esercitata da detta società è stato approvato esclusivamente con riferimento all’esercizio di arti e professioni (si veda in proposito anche quanto già chiarito con la Faq n. 2 del 17 ottobre 2024).

Forfettari, per il reddito rileva il principio di cassa

Ai fini del limite del regime dei forfettari per i professionisti, i compensi devono essere considerati rispetto alle fatture di competenza o alle fatture incassate? Più in particolare, la questione è legata all’eventuale superamento del limite degli 85mila euro rispetto alle fatture incassate ad inizio anno riferite a prestazioni effettuate nell’esercizio precedente.

La circolare 10/E del 4 aprile 2016 ha sottolineato che «per la verifica dell’eventuale superamento del limite, si deve tener conto del regime contabile applicato nell’anno di riferimento. In altre parole, coloro che hanno operato in contabilità ordinaria devono calcolare l’ammontare dei ricavi conseguiti applicando il criterio di competenza, mentre chi, ad esempio, ha applicato il regime fiscale di vantaggio, deve utilizzare il criterio di cassa». Poiché la medesima circolare 10/E/ 2016, nel paragrafo 4.3 «Determinazione del reddito imponibile», ha chiarito che nel regime forfettario i ricavi o i compensi percepiti si determinano secondo il principio di cassa, la verifica del limite di 85mila euro andrà effettuata tenendo conto di detto principio (i.e., quello di cassa). Di conseguenza, concorreranno al superamento del limite di 85mila euro previsto dall’articolo 1, comma 54, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (e, al pari, quello di 100mila euro di cui all’articolo 1, comma 71, della legge 190/2014) le somme incassate nell’anno di riferimento a prescindere dal fatto che le relative prestazioni siano state effettuate nell’anno precedente.

Qui di seguito le risposte presentate a Speciale Telefisco e pubblicate sul Sole 24 Ore di venerdì 19 settembre.

L’acquisto di azienda è causa di cessazione

La lettera b-ter), articolo 21 del Dlgs 13/2024 dispone che il concordato cessa di avere efficacia se la società o l’ente risulta interessato da operazioni di fusione, scissione, conferimento, oppure, nel caso di società di cui all’articolo 5 del Tuir, se sono interessate da modifiche della compagine sociale che ne aumentano il numero dei soci o degli associati, fatto salvo il subentro di due o più eredi in caso di decesso del socio o associato. Può escludersi l’applicazione della causa di cessazione nel caso di acquisto di un’azienda nel corso del biennio?

Con riferimento al quesito posto si riporta quanto già indicato alla faq 2.19 della circolare 9/E/2025: «L’articolo 21, comma 1, lettera b-ter) del Dlgs 12 febbraio 2024, n. 13, prevede, tra le cause di cessazione dal concordato, le ipotesi in cui “la società o l’ente risulta interessato da operazioni di fusione, scissione, conferimento”. Con la circolare l’Agenzia delle entrate ha chiarito che “anche nel caso in cui sia effettuata una cessione di ramo d’azienda ricorra una causa di esclusione dal Cpb, attesi i molteplici punti in comune tra la cessione di ramo d’azienda e il conferimento”. La stessa circolare, nel ricordare la ratio delle cause di cessazione previste dal citato articolo, afferma che “con particolare riferimento alla situazione in cui la società o ente sia stato interessato da operazioni di fusione, scissione, conferimento, il legislatore ha ritenuto che sia venuto meno il diretto collegamento tra la proposta di concordato predisposta nei confronti della società avente determinate caratteristiche e la diversa capacità reddituale conseguente al nuovo assetto economico che contraddistingue la società che ha partecipato all’operazione straordinaria”. La cessione del ramo d’azienda, anche se astrattamente ritenuto del tutto secondario, modifica la capacità reddituale del contribuente configurando, per tale motivo, una causa di cessazione dalla proposta concordataria».

Tanto premesso, in merito al caso del quesito, che riguarda l’acquisto di una azienda nel corso del biennio oggetto di concordato, si ritiene che tale situazione determini la cessazione del concordato, ai sensi della lettera b-ter), articolo 21 del Dlgs 13/2024, e ciò per le medesime motivazioni contenute nel richiamato documento di prassi.

Termini di decadenza e cause di cessazione

Chi aderisce al Cpb può beneficiare della riduzione dei termini di accertamento. Eventuali cause di cessazione degli effetti del Cpb (ad esempio violazioni gravi, maggiori imponibili oltre il 30%, ecc.) devono essere verificate prima del termine di decadenza “ridotto”, ovvero, intervenendo la cessazione degli effetti, viene meno anche il termine di decadenza ridotto e quindi valgono i termini ordinari?

L’articolo 19, comma 3, del Dlgs 13/2024 dispone che: «Per i periodi d’imposta oggetto di concordato, ai contribuenti che aderiscono alla proposta formulata dall’agenzia delle Entrate sono riconosciuti i benefici, compresi quelli relativi all’imposta sul valore aggiunto, previsti dall’ articolo 9-bis, comma 11, del Dl 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96»; tra i suddetti benefici, è incluso quello riguardante l’anticipazione di un anno dei termini di decadenza per l’attività di accertamento previsti dall’articolo 43, comma 1, Dpr 600/73, con riferimento al reddito di impresa e di lavoro autonomo, e dall’articolo 57, comma 1, del Dpr 633/72. Tuttavia, nell’articolo 22 del Dlgs 13/2024, è previsto che il concordato cessa di produrre effetto per entrambi i suoi periodi di imposta nei casi indicati dallo stesso articolo 22. Difatti, come chiarito anche dalla circolare 9/E/2025, il «meccanismo di funzionamento del Cpb si basa sui dati dichiarati dal contribuente. In tale assetto è evidente come il corretto adempimento degli obblighi dichiarativi assuma una rilevanza centrale affinché l’istituto possa correttamente trovare applicazione», sicché si ritiene che anche l’applicabilità dei benefici premiali non possa prescindere dal rispetto di tali adempimenti.

Ciò posto, con riguardo al quesito posto in merito al momento in cui devono essere verificate le cause che determinano la cessazione degli effetti del concordato, si ritiene che queste ultime possano essere accertate anche oltre i termini di decadenza ridotti, fermo restando il limite imposto dai termini ordinari laddove si riscontri la non veridicità dei dati forniti dal contribuente.

A sostegno di tale chiarimento si veda anche l’orientamento indicato nell’ordinanza 28457 del 5 novembre 2024, in cui la Cassazione ha affermato che la riduzione di un anno dei termini di decadenza di cui all’articolo 43, comma 1, Dpr 600/73, prevista dall’articolo 10, comma 9, del Dl 201/2011, presuppone la fedele esposizione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, sicché detta riduzione non è applicabile nel caso in cui, anche successivamente allo spirare del termine ridotto, si accerti la non veridicità dei dati forniti dal contribuente. Ad analoghe conclusioni era già pervenuta l’Agenzia, che in precedenti documenti di prassi (circolare 20/E/2019, paragrafo 7.2), in materia di riconoscimento dei benefici connessi all’applicazione degli Isa, ha già evidenziato che: «il raggiungimento di un livello di affidabilità idoneo all’ottenimento di benefici premiali deve ritenersi subordinato alla circostanza che i dati dichiarati dal contribuente ai fini della applicazione degli Isa siano corretti e completi», perché «laddove il raggiungimento di una premialità sia l’effetto della dichiarazione di dati incompleti o inesatti non può ritenersi legittimo il godimento di un beneficio».

Credito ai soci anche negli anni successivi

La circolare 9/E/2021 ha chiarito che il credito di imposta per gli investimenti in beni strumentali nuovi può essere attribuito solo ai soci di enti “trasparenti” in proporzione alla partecipazione agli utili e che l’attribuzione deve risultare dalla dichiarazione dei redditi della società che lo ha trasferito e in quella del socio che lo ha ricevuto. L’attribuzione può avvenire anche negli anni successivi a quello di maturazione del credito?

Con riferimento ai partecipanti di “enti trasparenti”, con la circolare 9/E/2021, (paragrafo 5.6.3), è stato precisato – sulla scorta di precedenti chiarimenti resi in diversi documenti di prassi, tra cui la risoluzione 163/E/2003 – che, in linea di principio, le agevolazioni concesse alle imprese, sotto forma di crediti d’imposta, possono essere attribuite ai soci delle società di persone o ai collaboratori dell’impresa familiare, in proporzione alle quote di partecipazione agli utili, in considerazione dei principi che regolano l’imputazione del reddito per trasparenza. Per quanto riguarda i criteri, le modalità e la tempistica da seguire per l’attribuzione di un credito agevolativo da parte dell’ente trasparente, nonché per il relativo utilizzo da parte dei soci o dei collaboratori dell’impresa familiare, è stato chiarito che l’attribuzione del credito ai soci o ai collaboratori deve risultare dalla dichiarazione dei redditi dell’ente trasparente, il quale dà evidenza formale della ripartizione, indicando nel quadro RU del modello di dichiarazione relativo al periodo di imposta nel corso del quale il credito è maturato (i.e., il periodo di imposta in cui sono stati realizzati gli investimenti agevolati) l’ammontare spettante, quello eventualmente già utilizzato e quello residuo da riportare nella successiva dichiarazione, al netto dell’ammontare che si intende attribuire ai propri soci o collaboratori, anch’esso da indicare in apposito rigo. I soci o i collaboratori, a loro volta, acquisiscono nella propria dichiarazione la quota di credito ad essi assegnata, al fine di utilizzarla in compensazione. Inoltre, è stato precisato che l’utilizzo del credito d’imposta è consentito, non a decorrere dalla maturazione del beneficio (i.e., l’effettuazione dell’investimento eleggibile), ma a decorrere dall’entrata in funzione del bene che dà diritto all’agevolazione o dall’interconnessione dello stesso.

Nei casi in cui la fruizione del credito d’imposta sia frazionata in quote annuali, in ciascun anno, la parte di credito attribuita ai soci (o collaboratori), incrementata da quella utilizzata direttamente dalla società, non può eccedere la quota fruibile annualmente. Infine, con la risoluzione 163/E del 2003, è stato precisato che l’attribuzione ai soci del credito d’imposta maturato in capo alla società ne costituisce una particolare forma di utilizzo, non configurando un’ipotesi di cessione, e che i soci possono utilizzare la quota di credito loro assegnata solo dopo averla acquisita nella propria dichiarazione. Ciò premesso, tenuto conto delle indicazioni contenute nei citati documenti di prassi, deve ritenersi che l’esercizio della facoltà di attribuzione del credito d’imposta ai soci o ai collaboratori, ai fini della relativa fruizione, possa essere esercitata, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili, dandone “evidenza formale” nel modello di dichiarazione (quadro RU), con corrispondente evidenziazione anche nel modello del socio o collaboratore che lo ha ricevuto:

  • a decorrere dal periodo di imposta nel corso del quale il credito d’imposta è maturato, nei limiti dell’ammontare spettante, al netto di quello già fruito, non può eccedere la quota fruibile annualmente;
  • per ciascun anno successivo, nei limiti dell’ammontare ancora non fruito, tenendo conto che, come precisato nella circolare 9/E/2021, in ciascun anno, la parte di credito attribuita ai soci o ai collaboratori, incrementata da quella direttamente utilizzata dalla società, non può eccedere la quota fruibile annualmente.

Inoltre, posto che l’utilizzo da parte del socio del credito d’imposta è subordinato alla possibilità di fruirne da parte della società trasparente, la fruizione potrà avvenire solo a seguito dell’entrata in funzione o dell’interconnessione del bene agevolato. Ciò premesso, in relazione al quesito posto, si ritiene che, nel rispetto dei principi fissati dalla circolare 9/E/2021 e sopra richiamati, nulla osta alla possibilità di attribuire, il credito di imposta, legittimamente maturato e non ancora utilizzato, dall’ente trasparente ai soci dello stesso anche negli anni successivi a quello di maturazione di detto credito.

Terzo settore, quando applicare i nuovi regimi fiscali

Sono un ente del Terzo settore con esercizio che inizia il 1° settembre e termina il 31 agosto. Tenuto conto che dal 2026 i nuovi regimi fiscali previsti dal Codice del Terzo settore saranno operativi, sono tenuto ad applicare le norme già dal prossimo 1° gennaio?

In base alle modifiche apportate dall’articolo 8 del Dl 84/2025, il comma 2, articolo 104 del Cts dispone che «Le disposizioni del titolo X, salvo quanto previsto dal comma 1, si applicano agli enti iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2025». Ciò comporta che gli Enti del Terzo Settore con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare possono avvalersi delle disposizioni di cui al Titolo X (Regime fiscale degli enti del Terzo Settore) a partire dal 1° gennaio 2026, mentre i soggetti con periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare potranno fruire delle nuove disposizioni a partire dal nuovo periodo d’imposta che avrà inizio nel 2026. Pertanto, i soggetti che abbiano ad esempio l’esercizio sociale dal 1° settembre 25 al 31 agosto 26 possono avvalersi delle disposizioni di cui al Titolo X del Cts a partire dal 1° settembre 2026. Per il periodo precedente continueranno ad applicare le precedenti disposizioni fiscali.

Iva, i rimborsi spese scontano l’imposta

Il testo ora vigente dell’articolo 54, comma 2, lettera b), del Tuir dispone che non concorrono a formare il reddito del lavoratore autonomo le somme percepite a titolo di rimborso delle spese sostenute dall’esercente arte o professione per l’esecuzione di un incarico e addebitate analiticamente in capo al committente. La relazione alla normativa conferma che non devono essere assoggettate a ritenuta, ma nulla dice per gli aspetti Iva. Si può ritenere che l’addebito di queste spese non concorra all’imponibile di questa imposta (articolo 15, comma 1, n. 3), legge del Dpr Iva) e che la fattura – come previsto dalle specifiche tecniche di quella elettronica – non sia soggetta all’imposta di bollo, se superiore a 77,47 euro?

La novellata formulazione dell’articolo 54, comma 2, lettera b), del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con Dpr 917/86 (Tuir) – secondo la quale non concorrono a formare il reddito le somme percepite a titolo di «rimborso delle spese sostenute dall’esercente arte o professione per l’esecuzione di un incarico e addebitate analiticamente in capo al committente» – non determina alcuna novità in ordine all’inquadramento ai fini Iva del suddetto rimborso. Pertanto, anche a seguito della recente novella, sono escluse dal campo di applicazione dell’Iva, secondo quanto previsto dall’articolo 15, comma 1, numero 3), del Dpr 633/72, le sole somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte (mandato con rappresentanza), purché regolarmente documentate.Resta fermo, quindi, che il riaddebito delle spese anticipate dal professionista a proprio nome, per conto del committente (mandato senza rappresentanza), è assoggettato a Iva, ai sensi dell’articolo 3, comma 3, ultimo periodo, del Dpr 633/72, per effetto del quale «le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante e il mandatario».La novella non produce alcun effetto innovativo neanche ai fini dell’imposta di bollo. Al riguardo, si rileva che l’articolo 13 della Tariffa, Parte I, allegata al Dpr 642/72, stabilisce che è dovuta l’imposta di bollo, fin dall’origine, nella misura di due euro per ogni esemplare, per le «Fatture, note conti e simili documenti, recanti addebitamenti o accreditamenti (...), ricevute e quietanze rilasciate dal creditore, o da altri per suo conto, a liberazione totale o parziale di una obbligazione pecuniaria». La nota 2, lettera a), in calce al suddetto articolo, prevede, inoltre, che l’imposta non è dovuta «quando la somma non supera lire 150.000 ( 77,47 euro)». Tale disposizione, di carattere generale, trova una deroga nell’ipotesi di cui all’articolo 6 della tabella allegata al Dpr 642/72 («Atti, documenti e registri esenti dall’imposta di bollo in modo assoluto»), che esenta dall’imposta di bollo le «Fatture ed altri documenti di cui agli articoli 19 e 20 della tariffa [attualmente il riferimento deve intendersi all’articolo 13 della tariffa, stante l’ultima versione della stessa approvata con il Dm 20 agosto 1992] riguardanti il pagamento di corrispettivi di operazioni assoggettate ad imposta sul valore aggiunto».Si ricorda, infine, che le fatture emesse a fronte di più operazioni, i cui corrispettivi in parte non sono assoggettati a Iva, scontano l’imposta di bollo nel caso in cui la somma di uno o più componenti dell’intero corrispettivo fatturato, non assoggettato ad Iva, superi 77,47 euro (risoluzione 98/E del 3 luglio 2001).

No allo split payment per chi è nel Ftse Mib

Il Dl del 17 giugno 2025, n. 84, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 138 del 17 giugno 2025, che reca disposizioni urgenti in materia fiscale ha previsto, fra le altre, l’esclusione dall’applicazione dello split payment per le società quotate, iscritte nell’indice Ftse Mib della Borsa Italiana. A prevedere questa esclusione è l’articolo 10 del decreto fiscale, che dispone l’abrogazione della lettera d), dell’articolo 17-ter, comma 1-bis del Dpr 633/1972, secondo cui il meccanismo della scissione dei pagamenti si applica anche alle operazioni effettuate nei confronti delle «società quotate inserite nell’indice Ftse Mib della Borsa italiana identificate agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto». Pertanto, per effetto dell’esclusione disposta dal decreto fiscale, per le fatture emesse dopo il 1° luglio 2025 nei confronti di questi soggetti non si applica più il meccanismo della scissione dei pagamenti. Si chiede di sapere se questa norma è valida indistintamente per tutte le società del Ftse Mib, ovvero è limitata a quelle che sono solo in tale elenco. In altre parole, se una società quotata è inserita, ad esempio, anche nell’elenco delle società controllate da un ministero per questa società permane l’applicazione del regime?

Il quesito riguarda l’ambito soggettivo di applicazione del meccanismo di scissione dei pagamenti (i.e., split payment) alla luce della previsione di cui dall’articolo 10 del decreto-legge 17 giugno 2025, n. 84, per effetto della quale, a decorrere dal 1° luglio 2025, sono escluse dall’ambito applicativo dello split payment le operazioni effettuate nei confronti delle società quotate iscritte nell’indice Ftse Mib della Borsa Italiana.In particolare, si chiede di sapere se possano essere escluse dal meccanismo della scissione dei pagamenti per le operazioni effettuate nei confronti di società che siano incluse sia nell’elenco delle società quotate inserite nell’indice Ftse Mib della Borsa Italiana, sia nell’elenco delle società controllate da pubbliche amministrazioni.Al riguardo, considerato che detti soggetti integrano contemporaneamente due requisiti soggettivi di applicazione dello split payment, previsti dall’articolo 17-ter, comma 1-bis, Dpr 633/72, in quanto gli stessi sono inclusi, non solo nell’elenco delle società quotate inserite nell’indice Ftse Mib della Borsa italiana, identificate agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, ma anche nell’elenco delle società controllate, ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 2), del Codice civile, direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dai Ministeri, si ritiene che in relazione alle operazioni effettuate nei confronti di tali soggetti, nonostante l’intervenuta abrogazione della lettera d) della citata disposizione, debba continuare a trovare applicazione il meccanismo della scissione dei pagamenti.

Auto, chi accede al regime transitorio

Alla luce delle precisazioni fornite con la circolare 10/E/2025, si chiede se possono usufruire del regime transitorio introdotto dall’articolo 6, comma 2-bis, del Dl 19/2025 le autovetture immatricolate dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2024, e già possedute dal datore di lavoro a quest’ultima data, che vengono concesse in uso promiscuo a dipendenti per la prima volta dal 1° gennaio 2025 al 30 giugno 2025, in quanto al 31 dicembre 2024 erano tenute a disposizione dell’impresa per usi solo aziendali.

Come chiarito al paragrafo 1.2 dalla circolare 3 luglio 2025, n. 10/E, la seconda parte del comma 48-bis dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2024, n. 207 (legge di bilancio per il 2025), introdotto dall’articolo 6, comma 2-bis, del decreto-legge n. 19 del 2025, prevede l’applicazione del regime di cui all’articolo 51, comma 4, lettera a), del Tuir, in vigore fino al 31 dicembre 2024 ( regime transitorio) anche nell’ipotesi in cui il veicolo sia stato ordinato dal datore di lavoro entro il 31 dicembre 2024 e sia stato consegnato al dipendente dal 1° gennaio al 30 giugno 2025. Resta fermo che, affinché la norma in commento trovi applicazione, è necessario che, nel periodo compreso tra il 1° luglio 2020 e il 30 giugno 2025, sussistano anche gli ulteriori requisiti, di immatricolazione e stipulazione del contratto.Dunque, nel caso di specie, ai fini dell’applicazione del regime transitorio, è necessario che le autovetture immatricolate dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2024, già possedute dal datore di lavoro al 31 dicembre 2024, vengano concesse in uso promiscuo al dipendente con contratto di assegnazione entro il 30 giugno 2025 e consegnate dal 1° gennaio 2025 al 30 giugno 2025.

Tcf, l’aggiornamento della comunicazione

Le Linee guida approvate con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 10 gennaio 2025 (protocollo 5320/2025) specificano che «con cadenza almeno triennale il certificatore aggiorna la valutazione effettuando gli opportuni controlli di efficacia operativa (cosiddetto ToE) dei controlli e di singolo rischio. Il ToE prevede lo svolgimento di procedure di test finalizzate a valutare se il controllo ha operato nel continuo». Premesso che le Linee guida non specificano se è sufficiente che l’operatività dei controlli sia verificata con riferimento all’ultimo periodo d’imposta oggetto di test, oppure se le verifiche debbano coprire l’intero arco triennale a partire dal periodo d’imposta di ottenimento della certificazione di idoneità, andrebbe chiarito se i citati controlli – volti a comprovare il mantenimento di efficacia del sistema – debbano essere effettuati su base annuale.

 Come chiarito nelle Linee guida approvate con provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 10 gennaio 2025 (protocollo 5320/2025) il tax control framework (Tcf )deve essere in grado di garantire all’impresa un presidio costante sui processi aziendali e sui conseguenti rischi fiscali. Lo scopo dell’aggiornamento della certificazione, che ai sensi dell’articolo 7, comma 6 del Decreto interministeriale del 12 novembre 2024 n. 212 ha durata triennale e va aggiornata alla scadenza del triennio, è, tra l’altro, quello di verificare che nel triennio di riferimento i controlli del Tcf abbiano operato in maniera continuativa e siano stati effettivamente svolti in maniera corretta. Ne deriva che, ai fini dell’aggiornamento della certificazione, i controlli di efficacia operativa effettuati dal certificatore devono coprire l’intero arco triennale, a partire dal periodo d’imposta di ottenimento della prima certificazione o dell’ultimo aggiornamento.Dal punto di vista operativo, si rammenta che ai sensi dell’articolo 6, comma 5 del citato decreto interministeriale, le verifiche svolte ai fini dell’aggiornamento della certificazione vanno effettuate con “cadenza almeno triennale”.Pertanto, fermo restando che le verifiche devono coprire l’arco triennale di riferimento, queste potranno essere effettuate con cadenza anche inferiore al triennio (ad esempio con cadenza annuale o biennale).

La certificazione è solo individuale

Ai sensi dell’articolo 6, comma 7, Dm 212/2024, il professionista abilitato rilascia la certificazione: a) sia nei confronti dell’impresa che esercita attività di direzione e coordinamento sul sistema di controllo del rischio fiscale, b) sia nei confronti delle singole imprese soggette a direzione e coordinamento che intendano aderire al regime di adempimento collaborativo. Si chiede conferma che il riferimento all’attività di “direzione e coordinamento sul sistema di controllo del rischio fiscale” contenuto nel decreto vada interpretato in conformità a quanto già chiarito dall’agenzia delle Entrate nel provvedimento del 14 aprile 2016, n. 54237 e dalla circolare 38/E/2016, laddove è precisato che occorre una relazione organizzativa in forza della quale un soggetto ha il potere di emanare direttive in ordine alle linee di indirizzo del sistema di controllo interno, verificando che esso sia coerente con gli indirizzi strategici e la propensione al rischio dell’impresa, e coordinare l’attuazione delle citate direttive. Inoltre, si chiede di chiarire se ognuna delle società istanti - diverse dalla capogruppo - dovrà ottenere autonoma certificazione oppure se sia consentito presentare un’unica certificazione da parte di tutte le società soggette a direzione e coordinamento che attesti che il sistema di controllo interno e di gestione dei rischi fiscali delle singole società sia inserito in quello adottato dalla capogruppo.

Al riguardo si ritiene che per l’attività di «direzione e coordinamento sul sistema di controllo del rischio fiscale» restino validi i chiarimenti resi dalla circolare 38/E/2016. Relativamente al secondo quesito, si osserva che, come già previsto dalle Linee guida, approvate con provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 10 gennaio 2025 (protocollo 5320/2025), in sede di istanza, oltre alla certificazione del Tcf della capogruppo dovrà essere fornita, per ciascuna delle società istanti appartenenti al medesimo gruppo, un’autonoma certificazione.

Ires premiale, la distribuzione delle riserve

L’articolo 7, comma 2, lettera b), del Dm 8 agosto 2025 prevede, in caso di copertura di perdite nel biennio di sorveglianza, una presunzione “fiscale” di preventivo utilizzo delle riserve diverse da quelle alimentate dall’utile 2024 accantonato a riserva ai sensi dell’articolo 4 del Dm. Nessuna regola è invece stabilita per la distribuzione delle riserve nel medesimo biennio di sorveglianza. Si chiede se, nel caso di distribuzione di riserve formate in parte dall’80% dell’utile 2024 (oggetto di accantonamento ai sensi dell’articolo 4) e in parte da utili di esercizi precedenti, l’importo vada, o meno, imputato preventivamente alla parte pregressa non soggetta a vincolo fiscale. Esempio: riserva straordinaria al 31/12/2024: 1.000; utile di esercizio 2024: 300 di cui 60 distribuito e 240 (80%) accantonato alla riserva straordinaria ai sensi dell’articolo 4 del Dm (iscritto nel prospetto della dichiarazione dei redditi). Nel 2026 si distribuisce la riserva straordinaria per 800. L’importo si imputa alla quota parte diversa da quella iscritta nel prospetto di cui all’articolo 7 comma 2, lettera a), senza dunque che scatti la clausola di decadenza.

L’articolo 7, comma 2, lettera b), del Dm 8 agosto 2025 stabilisce che: «si considerano prioritariamente utilizzate a copertura perdite le riserve diverse da quelle costituite o incrementate con l’utile accantonato ai sensi dell’articolo 4, comma 2». La Relazione illustrativa al Dm, sul punto, chiarisce che «qualora l’accantonamento dell’utile, operato dalle società o dagli enti, relativo al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2024 sia superiore alla soglia minima dell’80 per cento (ad esempio, pari al 95 per cento), il vincolo fiscale è limitato all’80%, ossia alla quota minima da accantonare per l’accesso alla misura agevolativa (unitamente alle altre condizioni di accesso), con la conseguenza che eventuali distribuzioni di utili, che riducono la quota dell’utile accantonato fino alla predetta soglia minima, non determinano il verificarsi della causa di decadenza di cui al comma 1, lettera a)». Ciò premesso, si ritiene che nel caso di distribuzione delle riserve nel biennio di sorveglianza, operi una presunzione “fiscale” di preventivo utilizzo delle riserve diverse da quelle alimentate dall’utile 2024 accantonato a riserva. Pertanto, l’importo distribuito dovrà essere imputato preventivamente alla parte di riserva pregressa e non soggetta a vincolo fiscale. Dunque, nell’esempio riportato, non si verifica alcuna causa di decadenza.

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