Controlli e liti

Liti con il Fisco, definizione con sconti più «equi»

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di Maurizio Leo

Camminiamo «su un crinale». Quel che si intravvede all'orizzonte è «un sentiero stretto». Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha evocato a più riprese nei giorni scorsi questi concetti, per sintetizzare il percorso, a dir poco accidentato, che attende il nostro Paese da qui a ottobre, quando la manovra del 2018 verrà presentata in Parlamento e a Bruxelles.

Avvertimento eccessivo, come si sostiene dalle parti del Pd a trazione renziana, contrario a qualsivoglia aumento delle tasse, compreso l'ipotizzato scambio tra aumento parziale dell'Iva e un più robusto taglio al cuneo fiscale? Per la verità, a scorrere sia le pagine e le tabelle del Documento di economia e finanza appena trasmesso in Parlamento e inviato alla Commissione Ue, sia i testi delle audizioni parlamentari svoltesi la settimana scorsa presso le competenti commissioni di Camera e Senato, si ha la conferma che quel crinale è davvero stretto, anzi strettissimo.

La manovra correttiva approvata dal Governo riduce il deficit strutturale per l'anno in corso di 3,4 miliardi, e ha un effetto a regime a partire dal 2018 anno di 5 miliardi. Tutto bene, se non che – stando almeno a quanto c'è scritto nel Def e a quanto ha confermato in Parlamento lo stesso Padoan – il Governo (per evidenti ragioni di opportunità politica) conferma almeno per ora l'intenzione di disattivare interamente le clausole di salvaguardia per 19,6 miliardi pronte a scattare dal prossimo anno sotto forma di aumenti dell'Iva (dal 10 al 13% e dal 22 al 25% per incassare 19,1 miliardi) e delle accise (350 milioni di maggior gettito). Quei 5 miliardi di effetto strutturale della manovrina andrebbero dunque a ridurre a poco meno di 15 miliardi le risorse compensative che sostituiranno il prospettato aumento dell'Iva. A bocce ferme, la manovra del 2018 parte dunque già appesantita da questa pesante eredità. Ad aggravare il quadro vi è un'altra bomba a orologeria pronta a esplodere.

È evidente che, in questa prospettiva, l’eliminazione delle sanzioni e degli interessi moratori costituisce una sorta di minimo comune denominatore, che deve caratterizzare necessariamente tutte le procedure di definizione, sia quelle riguardanti le cartelle che quelle concernenti le liti pendenti. Bene, quindi, l’intervento, che rimette le cose a posto, offrendo uguali possibilità di definizione per situazioni analoghe.

La fisionomia di questo ampliamento, pur giusto negli intenti, presenta però qualche difetto. Il principale? Quello di non essere “intelligente” e di trattare allo stesso modo chiunque ha una lite, indipendentemente dalla storia processuale. La stessa agevolazione verrebbe, infatti, concessa a tutti negli stessi termini: a chi non è stato sottoposto ancora ad alcun vaglio giudiziale e a chi ha avuto un esito provvisorio favorevole; a chi può vantare un giudizio positivo in primo grado presso le commissioni provinciali e a chi è stato giudicato favorevolmente in commissione regionale e attende l’esito della Cassazione.

Su questi aspetti servirebbe qualche ulteriore ritocco, per assicurare le finalità che una rottamazione “intelligente” dovrebbe voler perseguire, ovvero un’effettiva deflazione dell’enorme contenzioso, specie innanzi alla Corte di Cassazione, mediante un meccanismo di semplice applicazione, ma che non tratti tutti allo stesso modo. Il rischio, altrimenti, è quello di “ingolosire” i soli contribuenti con le situazioni meno meritevoli, deflazionando, di fatto, una sola parte delle liti, paradossalmente quelle relative alle contestazioni fiscali più fondate.

Il paradosso, insomma, è che, sotto la “tagliola” dell’esecutività degli atti impositivi, sia attirata dalla rottamazione la gran parte dei contribuenti con un esito sfavorevole provvisorio. Meno invece quelli che, avendo già viste riconosciute le proprie ragioni, si aspetterebbero un’opzione di exit che premi la propria posizione.

Basterebbe graduare l’agevolazione, il più possibile, in ragione delle specificità dei singoli casi, in particolare valorizzando l’evoluzione processuale del giudizio. Il primo obiettivo dovrebbe essere, in altri termini, quello di non vanificare del tutto gli esiti, ancorché provvisori, del contenzioso. Ciò anche in considerazione del fatto che un pezzo di strada, processualmente parlando, è stata percorsa e non è certo giusto svilire completamente l’onerosa attività già svolta dai giudici tributari e dalle parti.

Un’idea potrebbe essere quella di creare una bipartizione tra chi è in attesa di un primo esito processuale e chi non lo è. Nel primo caso, l’agevolazione potrebbe consistere, come è stato anticipato, nell’abbattimento delle sole sanzioni e degli interessi moratori: si ottengono, così, ragioni deflattive superiori a quelle indotte dagli altri strumenti alternativi al contenzioso parimenti disponibili, sebbene con una tempistica di pagamento più ristretta.

Nel secondo caso, invece, sarebbe ragionevole entrare più nel merito e graduare il beneficio in ragione dello stato del contenzioso. Più nel dettaglio, fermo restando l’azzeramento di sanzioni e interessi di mora, la “quota imposte” da versare potrebbe ridursi progressivamente, in ragione dell’esito, più o meno evoluto e più o meno positivo, del processo tributario già attivato. Ad esempio, se si è ottenuto un esito favorevole in primo grado sarebbe possibile stabilire un certo abbattimento percentuale, che diventerebbe ancora più elevato in caso di esito favorevole dinanzi al giudice di seconde cure. Criteri da estendere ragionevolmente anche in caso di esito parzialmente favorevole, ad esempio applicando gli abbattimenti limitatamente alla “quota imposte” annullata nel corso del giudizio, ma non anche alla “quota” di soccombenza; il tutto, fermo restando il beneficio dell’annullamento integrale di sanzioni e interessi moratori.

Da ultimo, va fatta una riflessione in merito ai corretti raccordi tra le procedure di conciliazione giudiziale e la rottamazione delle liti, per evitare che quest’ultima costituisca, nei fatti, un disincentivo all’accesso a un istituto deflattivo del contenzioso che, come noto, non garantisce un abbattimento integrale di sanzioni e interessi di mora.

Insomma, si spera in un intervento che consenta di garantire, allo stesso tempo e allo stesso modo, i diversi interessi coinvolti: quello dell’agenzia delle Entrate a non vedere svilita l’attività di accertamento già svolta, quello dei giudici tributari a non vedere annullato il lavoro già fatto e quello dei contribuenti a rinunciare alle incertezze del contenzioso solo a fronte di un ragionevole abbattimento del dovuto. Si tratterebbe di dare effettiva attuazione al principio di uguaglianza sostanziale, il quale pretende soluzioni diverse per situazioni differenti. Quindi è bene intervenire con la rottamazione delle liti, ma il provvedimento non deve assomigliare a un vestito preconfezionato, che si spera utile per tutte le occasioni, quanto piuttosto a un abito “su misura”, più equo, nonché più congruo rispetto alle finalità deflattive che si propone di realizzare.

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