Lo Statuto del contribuente punta sulla centralità del contraddittorio
Lo statuto dei diritti del contribuente si propone di trovare un giusto equilibrio nel delicato rapporto tra fisco e cittadino, stabilendo le regole principali e individuando i diritti fondamentali del contribuente nei confronti dell’amministrazione finanziaria, quali sono il diritto a una piena e corretta informazione, il diritto alla chiarezza degli atti impositive e delle norme tributarie, il diritto alla semplificazione degli adempimenti, il diritto alla salvaguardia dei casi di affidamento incolpevole e di buona fede, il diritto all’applicazione di sanzioni eque e ragionevoli, il diritto allo svolgimento di procedure di accertamento partecipate e non vessatorie.
Non si tratta di un compito facile, poiché attraverso lo strumento della potestà impositiva, lo Stato incamera le risorse economiche per fare fronte alle proprie necessità quotidiane: dagli stipendi, alle pensioni, dal welfare, agli appalti. È per questa ragione che, da sempre, l’intera materia tributaria è retta dal principio immanente di tendenziale inarrestabilità dell’azione amministrativa.
Pertanto, a distanza di circa 17 anni, appare opportuno operare una verifica sullo stato di attuazione della disciplina statutaria.
Il sistema più efficace per fare ciò consiste nel dare conto di come sia andato a dispiegarsi il “diritto vivente”, ossia l’interpretazione che, delle singole norme, ha dato la Corte di cassazione: e questo, particolarmente, in materia di validità o annullabilità degli atti tributari.
La dottrina pressoché unanime attribuisce enormi meriti all’azione della Cassazione, che ha saputo dare un significato pratico a norme molte volte di carattere generale, espressive più di un fine a cui tendere, che di un precetto cogente.
Secondo taluni autori, la spinta propulsiva della giurisprudenza di legittimità è però apparsa un frenata in materia di contraddittorio procedimentale.
Mentre, infatti, sia il diritto europeo, sia il diritto amministrativo nazionale affermano la necessità di assicurare al cittadino una partecipazione preventiva nel procedimento pubblicistico finalizzato all’adozione di un atto invasivo dell’altrui sfera giuridica, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno ritenuto che, tra fisco e contribuente, una tale regola non esista in forma assoluta, ma può trovare spazio solo se prevista da una specifica disposizione di legge o da un norma del diritto comunitario.
Al contrario, secondo altra opinione, un convincimento opposto poteva ben trarsi già dalla lettura dello statuto e, principalmente, dal combinato disposto delle norme in tema di leale collaborazione tra potere pubblico e soggetto passivo, in tema di garanzie procedimentali e in tema di tutela dell’affidamento e della buona fede.
D’altro canto, come chiarito dalla stessa Suprema Corte in altre decisioni, «l’amministrazione finanziaria non è un qualsiasi soggetto giuridico, ma è una pubblica amministrazione. Tale veste, come le attribuisce speciali diritti funzionali, che assicurino nella maniera più ampia e spedita il perseguimento delle sue finalità nell’interesse collettivo, così, per la stessa ragione, la obbliga all’osservanza di particolari doveri, prima fra tutti quelli dell’imparzialità, espressamente sancito dall’articolo 97 della Costituzione».