Controlli e liti

Niente termine lungo con i Paesi «trasparenti»

di Giorgio Gavelli e Marco Piazza

Se per il passato si deve attendere che si esprima la Cassazione, per il futuro pare certo che si apriranno nuovi fronti. La Corte Ue ha sancito – nelle cause riunite C-155/08 e C-157/08 – che non vi è violazione degli articoli 56 e 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (libera circolazione dei servizi e dei capitali) qualora uno Stato membro applichi un termine di rettifica fiscale più lungo dell’ordinario qualora beni detenuti in un altro Stato membro e i relativi redditi siano stati occultati alle autorità tributarie del primo Stato membro.

Ma, secondo la Corte, l’allungamento dei termini d’accertamento è giustificato solo quando lo Stato membro di residenza del contribuente «non disponeva di alcun indizio in merito all’esistenza dei beni occultati tale da consentire l’avvio di un’indagine». In questo caso, inoltre, è anche possibile che la sanzione sia calcolata proporzionalmente all’importo della rettifica fiscale e sul periodo accertabile più lungo (con riferimento al raddoppio delle sanzioni si veda anche la sentenza 25 febbraio 1988, in causa C-299/86). La decisione della Corte è giustificata perché l’assenza di indizi mette lo Stato di residenza nell’impossibilità di rivolgersi alle autorità competenti dell’altro Stato membro per ottenere le informazioni necessarie ai fini di un corretto accertamento dell’importo dell’imposta (par. 63). La Corte constata che, per quanto riguarda i beni e i redditi che non sono oggetto di un sistema automatico di scambio di informazioni, il rischio per il contribuente che siano scoperti è inferiore se i beni si trovano in un altro Stato membro rispetto al caso in cui si trovino nello Stato di residenza del contribuente (par. 72). Pertanto, se uno Stato membro prevede un termine di rettifica fiscale più ampio nel caso di elementi imponibili di cui le autorità tributarie non erano a conoscenza, non gli si potrà contestare il fatto di limitare l’ambito di applicazione di tale termine agli elementi imponibili di beni che non sono situati sul suo territorio (par. 73).

La sentenza, di per sé non ha rilevanza per l’Italia perché il raddoppio dei termini d’accertamento e delle sanzioni non opera per le attività detenute in Paesi europei. Ma il principio della libertà di circolazione dei capitali si applica anche per gli investimenti in Paesi extraeuropei in base all’articolo 63 del Trattato.

È vero che l’articolo 64 del Trattato contiene una clausola stand still in base alla quale la libertà dei movimenti di capitali nei confronti di Stati terzi non pregiudica il mantenimento da parte dei membri dell’Unione di restrizioni già presenti nelle legislazioni nazionali alla data del 31 dicembre 1993, ma il raddoppio dei termini d’accertamento e delle sanzioni è contenuto nell’articolo 12 del Dl 78/2009, non coperto dalla clausola citata e quindi illegittimo se applicato alle attività detenute in Stati che concedono lo scambio d’informazioni automatico.

Del resto, la sentenza della Corte di giustizia Ue C-317/15 (riguardante la legislazione olandese) ha correttamente esteso le conclusioni della sentenza C-155/08 e C-157/08 alle ipotesi in cui le attività siano detenute in paesi extracomunitari sancendo in proposito che l’allungamento dei termini di accertamento costituisce una violazione della libertà di circolazione dei capitali al di fuori della Comunità europea.

In conclusione, per le attività finanziarie detenute in Paesi anche non europei, che danno lo scambio di informazioni automatico, poiché questo consente alle autorità italiane di disporre di indizi in merito all’esistenza dei beni occultati tale da consentire l’avvio di un’indagine, avvalendosi eventualmente dello scambio d’informazioni su richiesta, si deve concludere che con l’implementazione del sistema di scambi automatici internazionali dei dati finanziari previsto dal Common reporting standard (Crs) l’articolo 12 del Dl 78/2009 violi il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

La tematica riguarda, già dal 2016, 12 paesi a fiscalità privilegiata con il quale il Crs è già efficace (fra i quali sette danno anche lo scambio d’informazione rafforzato); altri sei 2017 (quattro con lo scambio di informazioni rafforzato); paesi in relazione ai quali il fisco italiano non potrà più giustificare il raddoppio dei termini d’accertamento e delle sanzioni con la mancanza degli elementi indiziari circa l’esistenza di beni o proventi esteri non dichiarati. Altri 20 Paesi a fiscalità privilegiata hanno accettato di aderire allo scambio di informazioni automatico, ma non hanno ancora un accordo efficace con l’Italia (con quattro di questi esiste già lo scambio di informazioni su richiesta rafforzato).

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