Partecipazioni, si semplifica solo eliminando le differenze con le non qualificate
La riduzione dell’aliquota Ires al 24 % dal 2017 comporta effetti a cascata anche sulla tassazione dei dividendi e delle plusvalenze in capo alle persone fisiche. Con il decreto dell’Economia del 26 maggio 2017 (si veda quanto anticipato ieri ), infatti, la quota tassata dei dividendi qualificati è salita al 58,14 % e la stessa percentuale si applica per determinare la parte di plusvalenza (sempre derivante da partecipazioni qualificate) che concorre all’imponibile Irpef.
Qualificate e non qualificate
Queste considerazioni non possono però che portare a una considerazione di fondo: ha ancora senso nel nostro sistema la distinzione tra partecipazioni qualificate e non qualificate detenute dalle persone fisiche?
A livello numerico sicuramente la differenza non è apprezzabile. Nel caso di dividendi o di plusvalenze che ricadono nell’applicazione dell’aliquota marginale del 43 per cento, la tassazione effettiva diventerà del 25 per cento per le qualificate contro il 26 delle non qualificate. Se pensiamo invece all’altro caso estremo, in cui l’aliquota Irpef è quella minima del 23 per cento, il risultato è paradossale, dato che le plusvalenze qualificate scontano il 13,37 (il 23 per cento del 58,14), ovvero la metà di quelle non qualificate.
Motivi di equità oltre a ragioni di semplificazione portano a concludere che sarebbe sicuramente opportuno parificare la tassazione delle due fattispecie, eliminando la distinzione tra partecipazioni qualificate e non qualificate.
Per entrambe si potrebbe tenere in vita il sistema di concorso parziale al reddito complessivo (con una percentuale forfettaria sganciata dall’Ires, ad esempio del 50 %) ed eventualmente consentire l’opzione per una tassazione sostituiva.
Ricordiamo anche che c’è un precedente che va proprio in questa direzione: le ultime due riaperture della possibilità di affrancare mediante perizia il costo storico delle partecipazioni hanno nei fatti annullato qualsiasi differenza tra partecipazioni qualificate e non qualificate, introducendo un’aliquota unica (dell’8 per cento) per l’imposta sostitutiva.
Affrancamento con il recesso
In tema di affrancamento delle partecipazioni, visto che ormai si tratta di una norma a regime che di fatto viene prorogata senza soluzione di continuità dal 2002, si potrebbe superare un altro problema operativo.
La norma di base, ovvero l’articolo 5, comma 1 della legge 448 28 dicembre 2001, fa riferimento alla possibilità di adottare il valore di perizia «agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze di cui all’articolo 81, comma 1, lettere c) e c-bis), del testo unico delle imposte sui redditi» (riferimento da intendersi ora all’articolo 67).
È evidente che al di fuori dei casi di cessione delle partecipazioni che danno luogo a capital gain il riconoscimento del valore di perizia in luogo del costo storico non può trovare applicazione. E’ il caso, ad esempio, del recesso del socio in cui la società liquida al recedente il valore della sua partecipazione. A tale fattispecie si applica infatti l’articolo 47, comma 7 del Tuir, e il reddito che ne deriva è considerato di capitale (o di partecipazione se si tratta di una società di persone).
Dall’emanazione della prima norma di affrancamento, però, sono cambiate molte cose nel nostro ordinamento, tra cui la stessa disciplina civilistica del recesso del socio (riforma varata con il Dlgs 6 del 2003).
Non si vede perché, nelle prossime occasioni, il legislatore fiscale debba continuare a limitarsi a reiterare la norma vecchia e non possa invece adottare una formulazione più semplice ed in linea con i tempi. Basterebbe prevedere che il costo riconosciuto di una partecipazione può essere sostituito a tutti i fini tributari dal valore di perizia, magari aumentando l’ammontare dell’imposta sostituiva per chi vuole questo riconoscimento aggiuntivo. In questo modo, verrebbero gestite in modo omogeneo ipotesi che oggi danno luogo a diversità di trattamento e a rischi di contestazione: è il caso dei plusvalori rimasti all’interno delle società, che possono essere attribuiti ai soci sia direttamente mediante distribuzioni di dividendi, sia in altri metodi mediante liquidazioni, recesso totale o parziale, acquisto di azione proprie.
Si eviterebbe, tra l’altro, la discriminazione tra chi, nel caso di recesso, cede la propria partecipazione ad un soggetto terzo e chi invece riceve lo stesso valore direttamente dalla società da cui recede. Allo stesso risultato, naturalmente, si arriverebbe nel caso di somme attribuite ai soci in chiusura della procedura di liquidazione della società.