Per le operazioni soggettivamente inesistenti basta la presunzione semplice
In presenza di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione, che contesta il diritto del contribuente a detrarre l’Iva pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il cliente, al momento in cui lo ha acquistato, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto alla detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode. La dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che, al momento in cui ha stipulato il contratto di leasing, l’utilizzatore è stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente l’immobile aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode.
A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione attraverso l’ ordinanza 5873/2019 .
In merito all’individuazione del soggetto sul quale far ricadere l’onere della prova, l’Ufficio è stato caricato del gravame di dimostrare che l’operazione fatturata non è stata, in realtà, posta in essere (Cassazione 5406/2016), ovvero non è stata eseguita dai soggetti indicati nella fattura, rappresentando gli elementi, pur indiziari, sui quali si fonda la contestazione, anche in merito alla conoscenza o alla conoscibilità della fittizietà (Cassazione penale, sentenza 39541/2017) delle operazioni da parte del committente che richiede la detrazione.
Considerando i principi applicabili in ambito tributario in tema di prove, è consentito all’Ufficio di avvalersi anche di presunzioni semplici o di elementi indiziari (Cassazione 20059/2014). Il contribuente deve a sua volta dimostrare non soltanto la legittimità della detrazione, ma anche la mancanza della consapevolezza di partecipare a un’operazione fraudolenta (Cassazione 428/2015), non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture (Cassazione 28683/2015) o le evidenze contabili dei pagamenti (Cassazione 12802/2011).
L’onere della prova a carico del contribuente, nei termini innanzi delineati, non può essere preteso dall’Ufficio, secondo la Corte di Giustizia Ue (Cassazione 30148/2017), fino a «esigere dal destinatario della fattura verifiche alle quali non è tenuto». Spetta perciò all’Ufficio dimostrare, sulla base dei principi sull’onere della prova vigenti nello Stato membro, «che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto; circostanza, questa che spetta al giudice nazionale del rinvio verificare». Prova che rimane a carico dell’Agenzia anche quando la fattura è emessa da un soggetto fittizio ed è impossibile identificare il vero fornitore dei beni, sempre salvo il «caso in cui si dimostri, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare» (Corte di Giustizia causa C-277/14). L’onere a carico dell’Ufficio si connota pertanto di una gravosità particolare non potendo lo stesso pretendere che l’acquirente o il committente svolga una qualsivoglia indagine o verifica per assicurarsi che non si ravvisino nell’operazione irregolarità o che riscontri se l’emittente delle fatture disponesse dei beni «e fosse in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’Iva, o che disponga dei relativi documenti» (Cassazione 24490/2015).
Le indicazioni di principio elaborate dalla Corte europea appaiono, tuttavia, ancora troppo vaghe nel cercare di delineare, per via giudiziaria, in mancanza di legiferazione in materia, un valido supporto di tutela della buona fede del soggetto che è parte incolpevole di un’operazione fiscalmente fraudolenta, richiedendogli un’esigente dimostrazione della sua estraneità all’illecito della controparte e rimettendo al giudice nazionale la valutazione della idoneità di tale prova.
Cassazione civile, sezione IV, ordinanza 5873 del 28 febbraio 2019