Per la Ue note di variazione da anticipare
La sentenza della Corte di Giustizia Ue in materia di note di variazione Iva in presenza di procedure concorsuali ( sentenza C-246/16 ) esplica inevitabilmente effetti anche sulle regole valevoli per le procedure esecutive individuali. In base all’articolo 26 del Dpr 633/72, il cedente/prestatore ha diritto a emettere una nota di variazione, al fine di recuperare l'imposta a suo tempo versata, nei casi di mancato pagamento, in tutto o in parte, del corrispettivo pattuito. A tale scopo, alla luce della tradizionale interpretazione delle Entrate (circolare 77/2000), è previsto che, in presenza di procedure concorsuali, la condizione legittimante il recupero dell’Iva si considera realizzata alla conclusione della procedura stessa.
Con riferimento alle procedure esecutive individuali, invece, occorre che si verifichi uno di questi tre eventi:
• in caso di pignoramento presso terzi, qualora presso il terzo pignorato non risultino beni o crediti da aggredire;
• in caso di pignoramento mobiliare, qualora da verbale redatto dall’ufficiale giudiziario non risultino beni pignorabili o non sia stato possibile effettuare l’accesso ovvero ancora il debitore risulti irreperibile;
• in caso di asta di vendita andata deserta per la terza volta, si decide di non proseguire la procedura espropriativa per eccessiva onerosità della stessa.
Con la sentenza C-246/16, la Corte di Giustizia è stata interpellata sulla legittimità della normativa italiana che in molti casi impone al cedente/prestatore di attendere anche molti anni prima di poter recuperare l'imposta versata, in considerazione della eccessiva durata media delle procedure concorsuali. I giudici di Bruxelles sono giunti ad affermare l'incompatibilità di un tale assetto normativo sulla base dei principi unionali della proporzionalità e della neutralità dell’imposta. In particolare, il principio di neutralità prescrive che il soggetto passivo non possa essere inciso dal tributo. Questo si verifica laddove il corrispettivo soggetto a Iva non venga pagato integralmente. Da qui l’obbligo, e non la facoltà, per gli Stati membri di mantenere indenne il contribuente per l’importo dell’imposta non riscossa.
La facoltà ammessa nell’articolo 90 della direttiva 112/06 riguarda le sole ipotesi in cui il mancato incasso non sia ancora definitivamente accertato. Qui interviene però il principio di proporzionalità, che viene valorizzato dalla Corte per escludere la legittimità di legislazioni nazionali che rendano troppo difficoltoso l’accertamento dell’omessa riscossione. In questo senso, la norma italiana in materia di procedure concorsuali appare confliggere apertamente con il suddetto principio.
Le medesime considerazioni tuttavia non possono non valere anche per le procedure esecutive individuali. È del tutto evidente infatti che costringere in tutti i casi il contribuente a promuovere azioni espropriative da condurre sino all'esito finale della acclarata infruttuosità è in contrasto con il medesimo principio di proporzionalità. Si pensi ai numerosi casi in cui il credito sia di importo non elevato, tale da non giustificare il costo di una procedura dagli esiti quantomeno incerti. O ancora, all'ipotesi in cui, sulla base delle informazioni assunte, è emersa la conclamata insolvibilità del debitore oppure l’incapienza del suo patrimonio. In buona sostanza, per usare le parole della Corte, il diritto ad emettere la nota di variazione non può essere negato ogni volta vi sia «la ragionevole probabilità che il debito non sia saldato». Le ragioni erariali sono d’altro canto fatte salve, se si considera che poi in caso di riscossione del credito vi è obbligo di emissione della nota di variazione in aumento.
Corte di giustizia Ue, sentenza C-246/16 del 23 novembre 2017