Pronti gli indici di allerta per l’emersione della crisi d’impresa
Pronti gli indici dell’allerta. Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ha messo a punto la bozza di parametri che possono condurre allo stato di crisi e innescare quindi la procedura di allerta, cardine della riforma della Legge fallimentare, tesa a evitare che la crisi sfoci nell’insolvenza. Con un’avvertenza metodologica: il compito che il Codice della crisi e dell’insolvenza affida ai professionisti è di definire ogni 3 anni un pacchetto di indici che permettono una «ragionevole presunzione dello stato di crisi»; altro sono invece gli indicatori, sempre previsti dal Codice, di portata più ampia e alla base di obbligo di segnalazione da parte di sindaci e revisori (assenza della sostenibilità del debito nei successivi 6 mesi, pregiudizio per la continuità aziendale nell’esercizio in corso o almeno per 6 mesi, ritardi ripetuti e significativi nei pagamenti).
Gli indici contenuti nella bozza sono costituiti da grandezze di natura quantitativa o da confronti tra di loro, tenendo presente che la scelta fatta nell’elaborazione del modello è stata quella di minimizzare il numero di falsi positivi, ammettendo la possibilità di un maggior numero di falsi negativi. Dove per falsi positivi devono essere intesi i rischi di rendere oggetto di segnalazione imprese di cui è prevista un’insolvenza che poi non si verificherà, mentre per falsi negativi i rischi sono quelli di imprese di cui non è diagnosticata la crisi ma che invece diventeranno insolventi.
Il meccanismo messo a punto prevede allora una sequenza gerarchica che vede 7 parametri da considerare. La crisi è innanzitutto ipotizzabile quando il patrimonio netto diventa negativo per effetto di perdite di esercizio, anche cumulate e rappresenta causa di scioglimento della società di capitali. Indipendentemente dalla situazione finanziaria, questa circostanza rappresenta un pregiudizio alla continuità aziendale, fino a quando le perdite non sono state ripianate e il capitale sociale riportato almeno al limite legale. Il fatto che il patrimonio netto sia diventato negativo è superabile con una ricapitalizzazione; è quindi ammessa la prova contraria dell’assunzione di provvedimenti di ricostituzione del patrimonio al minimo legale.
A fronte di un patrimonio netto positivo è però indice di crisi che trova applicazione per tutte le imprese la presenza di un Dscr (Debt service coverage ratio) a 6 mesi inferiore a 1. Il Dscr è calcolato come rapporto tra i flussi di cassa liberi previsti nei 6 mesi successivi che sono disponibili per il rimborso dei debiti previsti nello stesso arco temporale. Valori di questo indice superiori a 1, rendono evidente la capacità prospettica di sostenibilità dei debiti su un orizzonte di 6 mesi, valori inferiori a 1 la relativa incapacità.
Se il patrimonio netto è positivo e se il Dscr non è disponibile oppure è ritenuto non sufficientemente affidabile per la inadeguata qualità dei dati prognostici, proseguono i dottori commercialisti, si adottano 5 indici, con soglie diverse a seconda del settore di attività:
1) indice di sostenibilità degli oneri finanziari, in termini di rapporto tra gli oneri finanziari ed il fatturato;
2) indice di adeguatezza patrimoniale, in termini di rapporto tra patrimonio netto e debiti totali;
3) indice di ritorno liquido dell’attivo, in termini di rapporto da cash flow e attivo;
4) indice di liquidità, in termini di rapporto tra attività a breve termine e passivo a breve termine;
5) indice di indebitamento previdenziale e tributario, in termini di rapporto tra l’indebitamento previdenziale e tributario e l’attivo.
L’avvertenza è però quella di considerare significativo il superamento di tutti e 5 gli indici. La considerazione di uno solo infatti permetterebbe una visione assolutamente parziale e fuorviante.
I valori soglia di allerta distinti per settore