Imposte

Quote e terreni, la rivalutazione con aliquota al 14% cambia i calcoli di convenienza

L’aumento dell’imposta sostitutiva ha ridotto le fattispecie per le quali l’affrancamento è vantaggioso: calcoli differenti per partecipazioni e terreni

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di Giorgio Gavelli

La riapertura della possibilità, per i possessori non in regime d’impresa, di affrancare le plusvalenze latenti nel valore delle partecipazioni (non quotate) e delle aree (edificabili e non) al 1° gennaio 2022 è divenuta realtà con l’articolo 29 del Dl 17/2022 (cosiddetto Decreto energia), dopo che – un po’ a sorpresa – sia la legge di Bilancio 2022 sia la conversione del Milleproroghe erano approdati in Gazzetta Ufficiale senza alcuna traccia di questa ennesimo ripescaggio. Tuttavia, il legislatore ha ritenuto opportuno rendere più salato il conto per chi non si è avvalso delle opportunità offerte negli ultimi anni, incrementando l’imposta sostitutiva dall’11% al 14%, in maniera omogenea per tutte le casistiche.

È evidente che all’aumentare del peso fiscale, diminuisce il numero delle fattispecie in cui vi è convenienza ad affrancare (la relazione tecnica stima un 5% di adesioni in meno), rendendo economicamente vantaggioso il regime ordinario. Vediamo quando ciò avviene e quali sono gli elementi da considerare.

Le partecipazioni

Attualmente le plusvalenze (tranne ipotesi minoritarie) sono gravate da una imposta ordinaria sulle plusvalenze pari al 26% del plusvalore ottenuto in sede di cessione o altro atto realizzativo, indipendentemente dalla caratura (qualificata o meno) della partecipazione posseduta e/o ceduta.

Occorre, quindi, confrontare, questo prelievo con la sostitutiva del 14%, la quale, come è noto, si applica sull’intero valore periziato al 1° gennaio.

Ipotizziamo che la cessione avvenga allo stesso valore oggetto di affrancamento e non considerando i costi di perizia, spesso “accollati” alla società per via della deducibilità in cinque anni e, comunque, in caso contrario deducibili dal socio che ne sostiene il carico dall’eventuale plusvalore non affrancato in caso cessione ad un corrispettivo maggiore di quanto periziato. Si arriva così a stabilire che il punto di pareggio si posiziona in presenza di un costo fiscalmente riconosciuto della quota pari al 46,15% del valore periziato ovvero, in altre parole, in presenza di una plusvalenza pari al 53,85% di tale importo.

Infatti, ipotizzando una partecipazione acquisita a 46.150 euro e dal valore di cessione di 100.000 euro, l’imposta ordinaria (26% del capital gain pari a 53.850 euro) e l’imposta sostitutiva (14% di 100.000 euro) sono pressoché identiche. Con costi fiscalmente riconosciuti della quota più bassi (e, quindi, in presenza di una plusvalenza latente maggiore di quella sopra ipotizzata) la sostitutiva è sempre conveniente. Al di sotto, meglio non fare nulla.

Per avere una idea di come sono cambiati i calcoli di convenienza per effetto dell’imposta maggiorata, è sufficiente considerare che quando la sostitutiva era pari all’11%, l’affrancamento risultava “efficiente” con una plusvalenza almeno pari al 42,31% del valore (costo fiscalmente riconosciuto pari, al massimo, al 57,69% del valore di mercato).

La plusvalenza, in altre parole, per portare a scegliere l’imposta sostitutiva deve essere pari (almeno) a circa il 17% in più del costo fiscalmente riconosciuto: infatti, nei calcoli sopra riportati, 53.850 è circa il 17% in più di 46.150. Anche in questo caso è possibile un confronto con la sostitutiva dell’11% in vigore (ad esempio) per le rideterminazioni di valore portate a termine nel 2021: in quel caso era sufficiente che la plusvalenza insita nel titolo fosse almeno pari al 75% del costo fiscalmente riconosciuto per avere un vantaggio nell’affrancare.

Va sempre tenuto presente, comunque, che il versamento dell’imposta sostitutiva – a causa della disomogeneità del nostro sistema impositivo nella disciplina di redditi diversi e redditi di capitale – si rivela del tutto inutile se il “destino” della partecipazione non è quella di essere ceduta (o conferita, permutata, eccetera) quanto, invece, quella di consentire al possessore di ottenere un corrispettivo per il recesso o per la liquidazione della società, ovvero di far ottenere all’erede la soddisfazione dei propri diritti nei confronti della società.

In tutti questi casi, infatti, la rideterminazione di valore ottenuta con la sostitutiva è inefficace, e nessun calcolo di convenienza ha più senso, diversamente da quanto avviene se la quota viene donata.

I terreni

In questo caso il calcolo di convenienza è sicuramente più complicato. Infatti, occorre gestire diverse variabili, che rendono quasi impossibile generalizzare.

In primo luogo va esaminata la tipologia dell’area (anche potenziale se la vendita è futura), che può essere agricola, lottizzata ex articolo 67, comma 1, lettera a, Tuir ovvero edificabile ex lettera b) della stessa disposizione. L’area agricola fa plusvalenza solo se ceduta entro cinque anni dall’acquisto e mai se ricevuta per successione.

L’area lottizzata ha due diverse modalità di determinazione della plusvalenza a seconda della provenienza (articolo 68 del Tuir), mentre la plusvalenza derivante dall’area edificabile è soggetta a tassazione separata, e, quindi, ad un carico fiscale che dipende da quello medio del contribuente nel biennio anteriore alla cessione.

Relativamente alle aree, inoltre, è più frequente che il proprietario abbia sostenuto dei costi inerenti, i quali, nel caso di scelta per la tassazione ordinaria prevista dal Tuir, sono deducibili nel calcolo della plusvalenza, addirittura con rivalutazione Istat per le aree edificabili.

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