Recesso del socio, decide il tribunale
Se un socio recede da una società di persone e questa poi si trasforma in una Srl il cui statuto contenga una clausola compromissoria, non è arbitrabile, ma deve essere devoluta alla giurisdizione ordinaria, la controversia tra il socio e la società, avente a oggetto la liquidazione spettante a detto socio a fronte del suo recesso: lo decide la Cassazione nella ordinanza n. 21036 dell’11 settembre 2017, emessa in sede di regolamento di competenza avverso una sentenza di segno contrario pronunciata da un Tribunale ordinario, presso il quale la causa dovrà dunque essere riassunta.
Il ragionamento che il giudice della legittimità svolge per giungere a tale conclusione ha come premessa la considerazione che (secondo quanto deciso dalla stessa Cassazione con la sentenza n. 5836/2016) il recesso da una società di persone è un atto unilaterale recettizio e, pertanto, la liquidazione della quota del socio receduto non è una condizione sospensiva dell’atto di recesso, ma un effetto stabilito dalla legge, con la conseguenza che il socio, una volta comunicato il recesso alla società, perde tale sua qualità di socio, anche prima di aver ottenuto la liquidazione della sua quota di partecipazione.
In altre parole, la dichiarazione di recesso del socio produce i suoi effetti nel momento in cui la volontà del socio di sciogliersi dal vincolo societario viene portata a conoscenza della società (Cassazione, sentenza n. 20544/2009), di modo che, a seguito di tale dichiarazione, il rapporto sociale del recedente si scioglie ed egli diviene titolare nei confronti della società di un diritto di credito alla liquidazione della sua quota di partecipazione (Cassazione sentenza n. 22574/2001).
Il fatto che, per effetto della comunicazione di recesso il rapporto sociale tra il socio recedente e la società si sciolga, rende poi inopponibili al medesimo tutte le successive vicende che interessino la società, con la conseguenza che divengono irrilevanti nei suoi confronti, tra l’altro, i mutamenti che abbiano a oggetto l’assetto organizzativo della società e, in particolare, il fatto che la società stessa, configurata come società di persone al momento del recesso del socio, si trasformi, in seguito, in una società di capitali (recante nel suo statuto una clausola compromissoria).
Rispetto a questi eventi successivi al recesso, il socio receduto è un terzo estraneo o, più esattamente, un creditore (per la liquidazione della sua quota di partecipazione) della società risultante dalla trasformazione, alla quale vengono infatti trasferiti i crediti e i debiti che la società aveva contratto in precedenza.
Il socio receduto, perciò, non è più parte del rapporto societario che continua nella diversa forma organizzativa scaturita dalla trasformazione e non gli sono perciò opponibili le clausole statutarie – e, dunque, anche la clausola compromissoria – che governino il funzionamento della società nella sua mutata veste formale.
Da questa conclusione discende dunque che competente a conoscere della controversia inerente la liquidazione della quota del socio receduto è il giudice ordinario e non il collegio arbitrale previsto dallo statuto della società risultante dalla trasformazione della società di persona dalla quale il socio è receduto; e tale conclusione non è contrastabile con l’argomento (addotto dal Tribunale nella sentenza poi contestata in Cassazione) secondo cui la controversia, afferendo al rapporto sociale, ricadrebbe nell’ambito della competenza arbitrale, così come delineata nello statuto della società trasformata.
L’ordinanza n. 21036/2017 della Cassazione