Contabilità

«Reversibilità» in cerca di criteri uniformi

di Gianfranco Ferranti

L’agenzia delle Entrate, l’Assonime e l’Associazione dei dottori commercialisti si sono espresse in modo difforme sul criterio di imputazione temporale dei compensi attribuiti agli amministratori obbligati a riversarli a un’altra società appartenente allo stesso gruppo. Per le Entrate tali somme sono deducibili applicando il principio di cassa anche se l’effettivo beneficiario è una società di capitali; per l’Assonime e l’Aidc si dovrebbe applicare, invece, il criterio di competenza.

I compensi «reversibili»

È pacifico che i compensi che gli amministratori devono riversare a un’altra società, di cui sono dipendenti o a loro volta amministratori, sono deducibili da parte della società erogante (risoluzioni 8/166 del 1977, 8/196 del 1980 e 8/1236 del 1986).

L’Agenzia ha specificato, nella nota n. 124734 del 2002, che la deduzione da parte della società erogante deve sempre avvenire in base al principio di cassa anche se il percettore è una società di capitali, perché ciò che rileva è la qualificazione oggettiva del compenso e la norma non opera distinzioni.

Si ritiene, però, preferibile una interpretazione logico-sistematica che privilegi il principio della coincidenza tra il periodo d’imposta in cui i compensi sono tassati in capo all’amministratore e quello in cui sono dedotti dalla società.

L’Aidc ha condivisibilmente affermato, nella norma di comportamento 169/2007, che il compenso reversibile concorre a formare il reddito d’impresa della società beneficiaria per competenza ed è deducibile da quella che lo eroga in base allo stesso criterio, perché «essendo il compenso attribuito ad un soggetto titolare di reddito d’impresa, non è applicabile il criterio di cassa di cui all’art. 95, comma 5, del Testo unico».

In tal senso si è espressa anche l’Assonime nella circolare 50/1990. Adottando tale interpretazione, se la società (o la stabile organizzazione nel territorio dello Stato di un soggetto non residente) beneficiaria è residente in Italia il compenso non è assoggettato a ritenuta. Se lo stesso è, invece, percepito da una società non residente priva di stabile organizzazione in Italia va applicata la ritenuta a titolo di acconto di cui all’articolo 24, comma 1-ter, del Dpr 600/1973.

L’amministratore-società

Nella norma di comportamento 182/2011 l’Aidc ha, invece, affrontato il caso di una società commerciale nominata amministratore di un’altra società, ribadendo che il compenso costituisce «costo deducibile per la società erogante e ricavo imponibile per la società percipiente nel periodo d’imposta di competenza». La deducibilità per competenza è stata ritenuta derivare da un’interpretazione sistematica della norma fondata sul presupposto che l’articolo 95, comma 5, del Tuir non può trovare applicazione in quanto la sua applicabilità deve essere limitata all’ambito oggettivo trattato da tale articolo, ossia alle spese per prestazioni di lavoro, ed è stata introdotta al fine di evitare che i diversi principi (competenza e cassa), che regolano la determinazione del reddito della società e dell’amministratore persona fisica, generino una divergenza tra periodo di deduzione in capo all’erogante e di tassazione in capo al percipiente, cosa che non potrebbe verificarsi nel caso di specie dove «la società (...) che percepisce un compenso di tale natura (...) determina il proprio reddito imponibile in base al criterio di competenza e pertanto, se si applicasse l’art. 95, comma 5, del Tuir in capo all’erogante, si giungerebbe ad un risultato opposto a quello per cui la norma è stata introdotta».

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