Sanzioni alle società, se inflitte dall’estero non pesa il decreto 231
Può essere riconosciuta in Italia la condanna inflitta a una società da parte di un giudice dell’Unione, anche se non è rispettata la disciplina prevista dal decreto 231 del 2001. Lo chiarisce la Corte di cassazione con la sentenza n. 22334 della Sesta sezione penale. Per la Corte, a fare la differenza, non è il fatto che la sanzione è stata inflitta per un reato che non è previsto tra quelli presupposto dalla disciplina della responsabilità amministrativa degli enti, ma che è stato in tutto rispettato quanto previsto dal decreto n. 37 del 2016 che ha dato esecuzione alla decisione quadro 2005/214/Gai. Il decreto di 2 anni fa ha stabilito il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni che applicano sanzioni di natura pecuniaria sia nel settore civile sia nel settore penale.
Non ci sono dubbi, sottolinea la Cassazione, che, nel nostro ordinamento, la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche è soggetta a presupposti rigorosi, sulla base del decreto 231/01, tra i quali una lista tassativa di reati e particolari condizioni e criteri di imputazione. E tuttavia, il legislatore comunitario e, di conseguenza, anche quello nazionale, intervenuti entrambi dopo il 2001, hanno espressamente previsto che possono essere oggetto di riconoscimento anche le misure sanzionatorie nei confronti di una persona giuridica. In questi termini è assolutamente chiaro l’articolo 9, comma 3, della decisione quadro: «la sanzione pecuniaria inflitta ad una persona giuridica riceve esecuzione anche se lo Stato di esecuzione non ammette il principio della responsabilità penale delle persone giuridiche».
A maggior ragione, allora, precisa la Cassazione la sanzione può essere eseguita quando l’ordinamento, come in Italia, già prevede questa responsabilità, anche se formalmente qualificata come «amministrativa» e sottoposta a rigorosi criteri di applicabilità.
Di più. Il riconoscimento della decisione straniera, visto il principio del reciproco affidamento fra gli ordinamenti degli Stati membri, non è condizionato all’assoluta sovrapponibilità tra le regole processuali, inoltre è stato espressamente previsto che possono essere riconosciute non solo le pronunce dell’autorità giudiziaria, ma anche quelle dell’autorità amministrativa.
In questa prospettiva di massima collaborazione tra gli Stati deve essere letta anche la natura dell’esame che deve compiere la Corte d’appello: non rappresenta cioè una specie di impugnazione straordinaria contro la decisione presa all’estero, ma «uno strumento strettamente funzionale a dare effettiva, reale esecuzione al provvedimento applicativo della sanzione pecuniaria reso dall’autorità giudiziaria o amministrativa di un Paese membro dell’Unione europea».