Imposte

Se il cessionario è estinto niente rivalsa «speciale»

di Michele Brusaterra

Il diritto alla rivalsa dell’Iva pagata, a seguito di accertamento o rettifica Iva, si inserisce in un rapporto privatistico tra le parti e non, invece, in un diritto di natura tributaria. Pertanto, nel caso in cui il cessionario o committente non dovesse "pagare" l’Iva accertata e corrisposta, in capo al fornitore, quest’ultimo deve adire all’ordinaria giurisdizione civilistica.

L’art. 60 Dpr 633/1972 stabilisce, al settimo comma, che il contribuente che subisce un accertamento o una rettifica in tema di Iva ha diritto di rivalersi di tale maggiore imposta nei confronti dei cessionari di beni o committenti di servizi, ma solo dopo aver pagato sia l’imposta, sia le sanzioni, sia gli interessi. Il secondo periodo del medesimo settimo comma stabilisce, in deroga alle regole generali sulla detrazione, sancite dall’art. 19 Dpr 633/1972, che il cessionario o committente, che si vede addebitata l’imposta dal fornitore, a seguito del predetto accertamento o rettifica, può esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta stessa, «al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta», che gli è stata addebitata in via di rivalsa dal fornitore.

Proprio sul tema di tale particolare norma, l’agenzia delle Entrate, con l’interpello n. 84 del 26 novembre 2018, analizza la particolare fattispecie in cui il soggetto cessionario o committente, nei confronti del quale il soggetto accertato,avrebbe dovuto emettere, una volta pagata l’imposta o la maggiore imposta, una fattura o una nota di variazione in aumento per recuperare l’imposta accertata, è estinto.

Mentre il soggetto istante ritiene, visto che la maggiore imposta accertata e definita attraverso accertamento con adesione, è dallo stesso pagata a rate, di aver il diritto alla detrazione dell’imposta stessa, in relazione alle singole rate pagate emettendo una nota di variazione in diminuzione da registrare nel registro degli acquisti, a seguito del pagamento di ogni singola rata, l’Agenzia evidenzia che tale soluzione non è assolutamente percorribile.

Chiarisce, infatti, l’Ufficio, che si tratta, innanzitutto, di una norma speciale che rende facoltativa la rivalsa dell’imposta versata dal soggetto accertato definitivamente nei confronti del proprio cliente a cui le operazioni, oggetto di accertamento, si riferiscono, e che va interpretata «alla luce dei principi generali del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto».

Più precisamente, la norma in commento è stata introdotta per «ripristinare la neutralità garantita dal meccanismo della rivalsa (esercitabile dal fornitore soggetto passivo) e dal diritto di detrazione (esercitabile dell’acquirente soggetto passivo) consentendo il normale funzionamento dell’imposta, la quale deve, per sua natura, colpire i consumatori finali e non gli operatori economici».

Alla luce di ciò, non solo la rivalsa speciale in commento è consentita nel rispetto della condizione che l’accertamento abbia consentito di individuare il cessionario o committente, nonché la "riferibilità" dell’imposta alle operazioni poste in essere con tali soggetti, ma essa si inserisce in quello che è il rapporto privatistico tra le parti e, quindi, al loro rapporto interno, e non, invece, al rapporto tributario. Nel caso in cui, infatti, il cessionario o committente non dovesse "pagare" l’Iva accertata, e pagata, in capo al fornitore, quest’ultimo deve adire all’ordinaria giurisdizione civilistica.

Nel caso di cessionario estinto, il ricorso a tale ultima via risulta precluso portando, in definitiva, il fornitore accertato all’impossibilità di rivalersi dell’imposta pagata.

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