Contabilità

Società «in house», competenza al giudice ordinario

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di Giuseppe Acciaro e Roberta Campesi

Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sui ricorsi contro la nomina e revoca dei rappresentanti dell’ ente pubblico nella società per azioni partecipata parzialmente o totalmente dallo stesso ente; il medesimo giudice decide sulle conseguenti domande di tutela reale e risarcitoria.

La posizione di un ente pubblico all’interno di una società in house è unicamente quella di socio di maggioranza, derivante dalla prevalenza del capitale da esso conferito. E per il funzionamento della società, al socio ente non spettano i poteri pubblicistici, ma i soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitarsi a mezzo dei membri di espressione pubblica e poi presenti negli organi della società.

Il rapporto societario non rientra neppure nella giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo in quanto, la situazione giuridica sociale ha natura di diritto soggettivo e non certo di interesse legittimo.

Unica eccezione alla giurisdizione ordinaria è per il danno erariale causato dai loro amministratori e dipendenti per il quale decide la Corte dei conti.

Sono questi alcuni degli importanti e generali approdi della giurisprudenza in materia di società a prevalenza o totale partecipazione pubblica precisati da una ordinanza dei giudici di legittimità chiamati a decidere sul regolamento di giurisdizione (ordinanza sezioni unite n. 24591 dell’1 dicembre 2016).

Il problema della qualificazione della società a prevalente partecipazione pubblica e di quale doveva essere la disciplina alla stessa applicabile ha sempre diviso la giurisprudenza. Secondo la tesi cosiddetta privatistica, le società a partecipazione pubblica sarebbero soggette al medesimo regime di disciplina delle società di capitali a partecipazione privata; mentre secondo la tesi cosiddetta pubblicistica (minoritaria), la rilevanza degli interessi pubblici ammetterebbe la sostituzione di alcune norme societarie dettate dal codice civile con altre di natura pubblicistica.

Al riguardo l’ordinananza ha previsto che le innumerevoli disposizioni normative speciali emanate in materia di società pubbliche, non costituiscono un corpus unitario, sufficiente a regolamentarne attività e funzionamento autonomamente, sottraendole alla disciplina civilistica.

Anche i giudici di merito (Tribunale della Regione Calabria del 18 ottobre 2016, presidente Campagna, relatore Asciutto) i quali hanno affermato in modo perentorio che al contrario il rapporto tra società ed ente pubblico è di assoluta autonomia, posto che l’ente può incidere sul funzionamento e sull’attività della società non già attraverso l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei componenti degli organi sociali di sua nomina.

Ai fini dell’applicazione dello “statuto” dell’imprenditore commerciale (ovvero delle regole codicistiche) conta «la natura del soggetto», cioè la forma societaria, e non il tipo di attività esercitata. In caso contrario seguendo fino in fondo la tesi sulla rilevanza della attività, si dovrebbe giungere alla conclusione che anche le società a capitale interamente privato cui sia affidata in concessione la gestione di un servizio pubblico ritenuto essenziale sarebbero esentate dallo statuto dell’imprenditore commerciale e finanche come corollario l’applicazione alle società a partecipazione pubbliche del disciplina fallimentare. La scelta del legislatore di consentire all’ente pubblico l’esercizio di determinate attività mediante società di capitali, e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza.

Diversamente secondo la Corte si assisterebbe alla violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto, attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità.

A medesima conclusione alla quale per altro è approdata recentemennte la Corte di cassazione (n. 3196 del 20 dicembre 2016, presidente Nappi, relatore Ferro) la quale ha evidenziato che il nuovo articolo 3, Dlgs 175 del 2016 - la riforma Madia - in materia ha previsto che «per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel Codice civile e le norme generali di diritto privato».

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