Professione

Specializzazioni, sul tema i commercialisti si confrontano

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di Redazione Quotidiano del Fisco

Prosegue il confronto sulle specializzazioni lanciato da Massimo Miani, presidente Cndcec, nell’intervista rilasciata sabato scorso al Sole 24 Ore ( clicca qui per rileggerla ). Per inviare commenti usare la casella di posta elettronica ilmiogiornale@ilsole24ore.com.

Una via da prendere senza paure

Può una categoria professionale aver paura delle competenze specialistiche? A mio avviso no, se no smetterebbe di essere “professionale”. L'ordinamento della nostra professione comprende una molteplicità di attività lavorative, molto diverse tra loro, tra le quali scegliere. Nessuno può presidiarle tutte con adeguata competenza.

Ognuno di noi ha, pertanto, scelto gli ambiti su cui specializzarsi. Ciò a maggior ragione in un periodo in cui la rivoluzione digitale sta profondamente trasformando il tradizionale campo di lavoro contabile e fiscale, sul quale ancora è impegnata una vasta maggioranza di colleghi.

Al contempo, la nascita di molteplici registri specialistici esterni (revisori legali, revisori enti locali, amministratori giudiziari, Oiv, curatori) porta ad identificare alcune di queste attività non come funzioni specialistiche dei commercialisti bensì come vere e proprie professioni autonome. Ciò disincentiva i giovani abilitati ad iscriversi all'albo, sapendo che le attività contabili sono ormai economicamente marginali e che quelle specialistiche presuppongono comunque l'iscrizione a registri esterni. Pertanto, appare quanto mai urgente ricondurre le attività specialistiche nel giusto alveo, chiarendo che esse sono di competenza degli iscritti agli Ordini dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Per farlo è necessario, a mio avviso, identificare le qualifiche specialistiche come “aggettivi di specializzazione” del nostro titolo professionale.

Quanto al timore, fomentato da alcuni, che si creino due sottoclassi di commercialisti, credo che sia una bufala inventata con finalità politiche interne. Il mercato già riconosce la qualità delle prestazioni professionali di ciascuno di noi, premiando alcuni e penalizzando altri. Non si può ritenere che l'iscrizione in un unico albo indistinto di professionisti possa omogeneizzare il livello di tutti i suoi componenti. Sia tra i “generalisti” che tra gli “specialisti” ci sono professionisti eccelsi ed altri meno qualificati.

Ritengo, infine, che la specializzazione professionale non possa essere dettata solo dall'esperienza, come richiesto da alcuni, ma debba essere frutto anche di percorsi formativi riconosciuti dal mondo scientifico. Ben venga, però, se tali percorsi possono essere maturati all'interno delle nostre Scuole di alta formazione, in cui si uniscono le componenti teorico – accademiche e quelle tecnico – professionali.

Non dimenticare la Sezione B

Ho letto l'intervista, pubblicata il 1° giugno sul Sole 24 Ore, del presidente Miani riguardante le specializzazioni. Ho dovuto leggerla due volte poiché in prima lettura non ne ho capito assolutamente il contenuto o, per meglio dire, non credevo ai miei occhi.In seconda lettura, dopo tre profondi respiri ossigenativi, ho riletto e ho dovuto rendermi conto della triste realtà. E cioè che forse il nostro ordine professionale è destinato non a specializzarsi ma a terminare la propria esistenza con un clamoroso karakiri dovuto all'emorragia di iscritti da qui ai prossimi anni, soprattutto per gli esperti contabili (sezione B) che dopo un percorso comunque universitario e formativo di 18 mesi ovvero 36 per coloro che si sono abilitati anche come revisore, il superamento di un esame di abilitazione, si trovano penalizzati e neppure presi in considerazione da un progetto di riforma professionale del tutto miope ovvero volto a favorire solo i dottori commercialisti.

Suggerisco al nostro Presidente e al nostro Cndcec nazionale, di rivedere questa impostazione nel senso comunque di inserire anche gli iscritti nella sezione B tra i destinatari di specializzazioni, poiché ritengo che altrimenti questo progetto sarà altamente disgregativo della nostra professione che già non sta attraversando un grande momento e probabilmente saranno, come sempre, i tributaristi ad avere avuto ragione nello scegliere l'iscrizione in un albo professionale che li tutela.

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