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Terzo settore, definiti i paletti per le attività diverse

di Gabriele Sepio

Il decreto sulle attività diverse degli enti del terzo settore finalmente al traguardo. Con un comunicato il ministro del Lavoro ha ufficializzato la sottoscrizione di uno dei decreti più attesi per il completamento della riforma del Terzo settore. Si tratta, dunque, delle regole che fissano i criteri per lo svolgimento delle cosiddette attività «diverse» da quelle di interesse generale che gli enti del Terzo settore (Ets) potranno svolgere in forma commerciale per finanziare le attività principali. Basti pensare, ad esempio, alla somministrazione di alimenti e bevande, alle sponsorizzazioni o alla vendita di beni.

Molte le novità contenute nel decreto e già anticipate sulle pagine del Sole 24 Ore. Si tratta delle soglie quantitative per lo svolgimento di tali attività nonché dei tratti peculiari che dovranno caratterizzarle. A tal riguardo, la possibilità garantita dal Codice del Terzo settore (articolo 6) non dovrà comunque snaturare la logica sottesa alla riforma che richiede lo svolgimento da parte dell’Ets in via principale delle attività di interesse generale.

Due i tratti essenziali delle attività diverse: strumentalità e secondarietà. Il primo ricorre ogniqualvolta l’attività sia funzionalmente orientata alla realizzazione di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale dell’ente. A differenza dell’attuale regime Onlus viene, quindi, meno il requisito della diretta connessione rispetto alle attività istituzionali. L’obiettivo, infatti, è quello di incoraggiare l’autofinanziamento degli Ets attraverso attività commerciali purché strumentali rispetto all’interesse generale (a prescindere dal tipo di attività «diversa» svolta).

Con riferimento alla secondarietà, invece, occorrerà rispettare i due parametri quantitativi, da utilizzare alternativamente. Il decreto prevede, infatti, che i ricavi da attività diverse non dovranno essere superiori o al 30% delle entrate complessive dell’ente oppure al 66% dei costi complessivi. Criterio quest’ultimo che potrà essere adottato dalla maggior parte delle realtà associative prive di ricavi da attività di interesse generale.

Sul fronte dei costi rientrano nel computo del limite del 66% anche quelli figurativi relativi all’impiego di volontari iscritti nell’apposito registro; le cessioni, le erogazioni gratuite di denaro, i beni o servizi per il loro valore normale, la differenza tra il valore normale dei beni/servizi acquistati per l’attività statutaria e il loro costo effettivo di acquisto.

In caso di superamento di tali limiti l’ente potrà “recuperare” nell’esercizio successivo adottando un rapporto tra attività secondarie e istituzionali in grado di “compensare” l’eccedenza maturata. Ad esempio, se l’ente ottiene ricavi da attività diverse pari al 35% delle entrate complessive, nell’esercizio successivo dovrà avere un rapporto non superiore al 25% (anziché 30). Per la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale», bisognerà ora attendere, come ultimo step, la firma del ministro dell’Economia.