Imposte

Terzo settore, riforma sotto esame sulla gestione dei fondi

di Valentina Melis

La riforma del terzo settore inciampa nell’opposizione di Veneto e Lombardia, che chiedono un maggiore coinvolgimento delle Regioni su alcuni capitoli, a cominciare dalla gestione dei fondi. Per adottare le correzioni al Codice entrato in vigore l’anno scorso (il Dlgs 117/2017), il Parlamento vorrebbe concedere al Governo quattro mesi di tempo in più, rispetto alla scadenza del 3 agosto.

Il Senato ha dato il via libera, giovedì scorso, a un disegno di legge di soli due articoli che allontana il termine fino al 2 dicembre, e che questa settimana dovrebbe essere approvato anche dalla Camera. L’obiettivo è rivedere con più calma alcuni passaggi della riforma, sui quali il nuovo Governo M5S-Lega sembra intenzionato a riflettere.

Lombardia e Veneto, Regioni a guida leghista, hanno già fatto ricorso alla Corte costituzionale contro cinque articoli del Codice del terzo settore (il Dlgs 117/2017), mettendo nel mirino soprattutto il “centralismo” nella gestione delle risorse e nel controllo dei centri di servizio per il volontariato. La pronuncia della Corte è prevista per settembre.

I ricorsi di Lombardia e Veneto chiedono alla Consulta di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di alcune disposizioni del Dlgs 117/2017 che, a loro avviso, “invadono” le competenze regionali. Le questioni sotto esame sono tre.

Innanzitutto, la previsione nel Codice del terzo settore di un Organismo nazionale di controllo dei centri di servizio per il volontariato, i 65 enti che supportano le organizzazioni, per promuovere la presenza e il ruolo dei volontari (articoli 61 e 64 ). L’organismo nazionale, che si è insediato ad aprile, stabilisce il numero di Csv accreditabili, decide a livello centrale i finanziamenti dei Csv e ne definisce la ripartizione nel territorio. La gestione di queste risorse, nel quadro pre-riforma, avveniva a livello regionale tramite i comitati di gestione (Coge).

I fondi che finanziano i centri di servizio per il volontariato arrivano dalle 88 Fondazioni di origine bancaria, che sono obbligate a destinare una parte delle risorse prodotte ogni anno proprio ai fondi speciali per il volontariato (creati con la legge 266/1991). L’entità dei fondi è variabile: ci sono stati picchi di oltre 100 milioni nel 2004 e nel 2006, ma nel 2016, ad esempio, sono stati 23,7 milioni.

Secondo i ricorsi, la rappresentanza delle Regioni nell’organismo di controllo è «del tutto marginale e irrilevante», e non rispecchia il loro ruolo nel funzionamento del terzo settore. Nell’organismo nazionale c’è infatti un solo componente a rappresentare l’intera Conferenza Stato-Regioni (vale a dire un solo rappresentante per tutte le Regioni).

Un altro punto contestato del Codice è l’articolazione degli Organismi territoriali di controllo (gli uffici territoriali dell’Onc), che accorpa alcune Regioni, attribuendo ad esempio un solo Otc a Veneto e Friuli-Venezia Giulia. «In Veneto - spiega l’assessore regionale ai servizi sociali Manuela Lanzarin - ci sono quasi 4mila enti, fra organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale, con un milione di volontari. A nostro avviso è contestabile sia la distribuzione degli organismi di controllo territoriali, sia l’eccessivo accentramento di funzioni nell’organismo nazionale». Un altro articolo del Codice nel mirino è il 72, che accentra nel ministero del Lavoro le decisioni su obiettivi e attività finanziabili con il Fondo per le attività di interesse generale del terzo settore: 17,3 milioni per il 2016, 47,3 milioni nel 2017 e 27,3 milioni nel 2018 (sarà questa la dotazione a regime).

«Un approccio troppo centralista - sottolinea Giovanni Daverio, responsabile della direzione generale politiche sociali della Regione Lombardia - rischia di compromettere equilibri consolidati nelle Regioni, dove il terzo settore collabora attivamente con le istituzioni territoriali nel progettare ed erogare servizi».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©