Il CommentoDiritto

Trust svizzero frutto della cultura della fiducia. Formula votata al successo

<span id="U408936626204oH" style="">Un “trust svizzero” presenterebbe attrattive che lo porrebbero in concorrenza con Londra, Lussemburgo e Singapore</span>

di Maurizio Lupoi

Il legislatore elvetico sa che i grandi patrimoni si servono dei trust e ipotizza che un “trust svizzero” presenterebbe attrattive che lo porrebbero in concorrenza con Londra, Lussemburgo e Singapore; inoltre, ritiene che le sue piazze finanziarie genererebbero maggiori profitti qualora gli svizzeri ricorressero più spesso ai trust senza utilizzare leggi straniere.

Questo è un legislatore all'altezza dei paesi più evoluti nel campo dei trust, che ha assoggettato i trustee professionali a autorizzazione e vigilanza; un legislatore con visione globale, che coordina i propri interventi nel diritto civile, processuale, tributario, fallimentare, internazionale privato e sul libro fondiario. Il giurista straniero deve riconoscere questa non comune padronanza della materia e così tenere distinta la progettata legislazione dalla dozzina di legislazioni dell’ultimo decennio che, spesso goffe, hanno cercato di creare discipline nazionali con l'etichetta “trust” in paesi privi di tradizioni in materia.

Delicatissimo, per vero, è il compito di chi si accinga a legiferare avendo numerose soluzioni altrui dinanzi agli occhi e nessun proprio retroterra sul quale poggiare la nuova costruzione; nel campo del diritto i nomi non foggiano le cose, anzi sono spesso ingannatori, e l’analisi deve svolgersi immaginando la foggia della nuova costruzione. L’analisi individua allora facilmente che il “trust svizzero” è debitore della cultura della fiducia come intesa in quel paese; già per questa sola ragione, esso sembra destinato a essere gradito dalla clientela tanto svizzera che internazionale, la quale non troverebbe in nessuna altra legislazione la figura di un disponente titolare del potere di cambiare i beneficiari, di modificare l'atto istitutivo, di vietare il compimento di atti da parte del trustee, di sostituirlo e di agire contro di lui.

Ancora alla cultura della fiducia vanno ascritte le obbligazioni di diligenza e lealtà e la sostanziale equiparazione del trustee a un mandatario, così come la mancanza di riferimenti alle obbligazioni di coscienza e a concetti appartenenti all’equity.

Il diritto inglese ha offerto invece la soluzione di un trustee il quale risponde con il proprio patrimonio per le obbligazioni assunte: questa scelta normativa va contro la moderna prassi, che privilegia l’azione del creditore sui beni in trust e non sul patrimonio del trustee; è dubbio che essa permanga dopo lo svolgimento della consultazione. Egualmente al diritto inglese (e a quello di Jersey, ma non soltanto) è ispirata la regola secondo la quale «se sono tutti definiti, i beneficiari possono sciogliere anticipatamente il trust»; anche questa soluzione è contro corrente, dato che in essa il giurista civilista ha sempre riscontrato un ostacolo alla comprensione della posizione dei beneficiari di un trust. Il progetto svizzero consente che l’atto istitutivo subordini lo scioglimento al consenso del disponente, se ancora in vita: una soluzione originale, ma le perplessità rimangono. Originale è anche la tassazione dei redditi, a carico del disponente che non si sia privato definitivamente dei beni in trust (trust revocabili) ovvero a carico dei beneficiari aventi diritto a prestazioni: nulla sarà quindi dovuto né dal primo né dai secondi qualora fiscalmente domiciliati fuori dalla Svizzera; solo i trust irrevocabili e discrezionali sono considerati soggetti passivi di imposta e trattati come le fondazioni.

Il successo del “trust svizzero” sembra assicurato; auguri ai nostri vicini, giunti per ultimi nel mondo del trust e forse destinati a essere i primi.