Diritto

La rinuncia ai compensi non «evita» le responsabilità

La restituzione deve reintegrare il patrimonio e annullare la sottrazione

di Giovanbattista Tona

Una transazione generica tra la società e l’amministratore che ne ha distratto i beni non esclude la sua responsabilità per bancarotta in caso di fallimento. Lo afferma la Cassazione (sentenza n. 19887 del 20 maggio), che fissa con rigore i limiti per la bancarotta riparata.
L’amministratore di una società aveva effettuato prelievi di somme e utilizzato carta di credito aziendale per scopi personali. La società era stata dichiarata fallita e gli era stata contestata la bancarotta per distrazione. L’amministratore si era difeso allegando un accordo transattivo tra lui e la società, nel quale si stabiliva che le somme da lui distratte sarebbero state compensate con tutte le sue spettanze.
La Cassazione ha tuttavia precisato che vi è restituzione solo se la sottrazione è annullata da un’attività di segno contrario che reintegri il patrimonio dell’impresa e impedisca l’insorgenza di pregiudizi per i creditori. E spetta all’amministratore provare l’esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi.
Ma se la transazione non indica nemmeno l’ammontare delle somme alle quali l’amministratore ha rinunciato e se i suoi crediti non sono certi, liquidi ed esigibili, la distrazione non può dirsi “riparata”.

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