Imposte

Trattati bilaterali, sulla web tax lo spettro dei futuri contenziosi

Incerta l’applicazione dell’imposta ai soggetti esteri privi di stabile organizzazione

L’imposta sui servizi digitali (Isd) presenta caratteristiche del tutto peculiari, e per certi versi avulse dai canoni tradizionali dell’ordinamento tributario. L’Isd ha carattere provvisorio ed è strutturata per cedere il passo a futuri accordi internazionali. Nell’attesa resta però più di un interrogativo in merito ai profili di compatibilità con le norme di rango sovraordinato (su tutte, la Costituzione). Sembra probabile l’insorgere di futuri contenziosi.

L’imposta è soggetta a una sunset clause che ne prevede l’abrogazione laddove vengano recepite soluzioni internazionali in tema di tassazione dell’economia digitale. Il pensiero va immediatamente all’iniziativa Ocse nell’ambito del “Pillar One” e alla pubblica consultazione della commissione Ue su una nuova digital levy. In attesa di sviluppi, l’Isd solleva comunque più di un interrogativo in merito alla sua compatibilità con le norme sovraordinate.

Su tutto, è incerta la sua riconducibilità al perimetro oggettivo dei trattati contro le doppie imposizioni stipulati dall’Italia. Il dubbio è infatti se l’Isd possa qualificarsi tra le taxes covered di cui all’articolo 2 dei trattati. L’agenzia delle Entrate si è già espressa in senso negativo. La circolare afferma che l’imposta ha natura d’imposta indiretta sui corrispettivi lordi: pertanto, da un lato risulterebbe deducibile, ma dall’altro lato non potrebbe ricadere nella categoria delle “imposte sul reddito” (o su “componenti di reddito”) prevista a livello convenzionale.

Una questione ancora aperta
Il punto è tutt’altro che pacifico. L’Isd nasce – sul modello della proposta Ue – con un obiettivo dichiarato: tassare i profitti che gli Stati dei mercati di riferimento non riescono a intercettare per via della natura obsoleta del sistema tributario internazionale. Sembra quindi mostrare una chiara natura sostitutiva o supplementare rispetto all’imposizione reddituale.

Il fatto che la base imponibile non tenga conto dei costi può essere ricondotto – più che alla sua intrinseca natura – a esigenze di semplificazione, oltre che alla volontà strumentale di evitare una riconducibilità al campo di applicazione dei trattati che, diversamente, sarebbe stato arduo argomentare. Che i ricavi lordi possano essere intesi come un indice di reddito e di capacità contributiva, poi, è stato affermato dalla stessa Corte di Giustizia Ue (causa C-75/18, Vodafone).

La risposta al quesito in esame ha conseguenze dirimenti. Applicare un’imposta reddituale (come quella sui servizi digitali) anche ai soggetti esteri privi di stabile organizzazione equivarrebbe a violare i trattati bilaterali (treaty overriding). Seguendo l’insegnamento della Consulta (sentenze 348-349/2007), ciò potrebbe condurre all’illegittimità costituzionale dell’Isd per violazione dell’articolo 117 della Costituzione.

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