Imposte

Patent box, il Fisco manda in tilt chi ha recuperato insieme le quote degli anni scorsi

Un interpello di fine 2021 cambia le regole e penalizza chi ha chiuso tardi i ruling

ADOBESTOCK

di Primo Ceppellini e Roberto Lugano

Tra la presentazione dell’istanza di ruling e la sottoscrizione dell’accordo passa un considerevole arco di tempo: ad esempio, ci sono imprese che nel 2021 (prima del termine per inviare la dichiarazione dei redditi 2020) hanno chiuso accordi che partono dall’anno 2018.

Le regole attuative (Dm 30 luglio 2015) prevedevano due modalità per sistemare tali situazioni:
1. presentazione di un’integrativa con variazione in diminuzione per ciascuno degli anni pregressi (nell’esempio 2018, 2019 e 2020);
2. cumulo di tutte le variazioni in un unico modello (quello dell’anno di sottoscrizione, e quindi nella dichiarazione 2021 da presentare nel 2022).

A queste possibilità se ne era aggiunta una terza:
3. sommare le variazioni in diminuzione degli anni pregressi e inserirle nella dichiarazione in scadenza (nell’esempio, accorpare 2018, 2019 e 2020 nel modello relativo al 2020) e rinviare – come ovvio – la quota del 2021 alla dichiarazione per tale anno.

Quest’ultima possibilità emergeva da due interpretazioni offerte dalle Entrate: la circolare 11/E/2016 e la risposta all’interpello (molto particolare) 498 del 23 ottobre 2020. Sulla base di queste istruzioni, alcuni contribuenti hanno presentato quindi la dichiarazione per il 2020 nel modo sopra descritto. In seguito, però, con la risposta a interpello 870 del 29 dicembre 2021, le Entrate sono tornate alla versione originaria, giudicando non ammissibile tale possibilità. Questa risposta ha creato scompiglio tra le imprese, che ora si trovano davanti a due alternative:
● aspettarsi
contestazioni dagli uffici, preparandosi a difendere il comportamento adottato in buona fede e in conformità con la prassi;
● adeguarsi all’ultimo chiarimento, presentando integrative per gli anni 2018, 2019 e 2020.

Va sottolineato che i problemi non si sono creati per volontà delle imprese, ma soltanto per i ritardi burocratici nella gestione delle pratiche. Sarebbe quindi estremamente opportuno che l’Agenzia chiarisse che, stante l’incertezza, non saranno applicate sanzioni in caso di accertamenti, oppure che è possibile il ravvedimento operoso senza applicazione di sanzioni. In assenza di istruzioni in tal senso, chi vuole evitare contestazioni dovrà necessariamente presentare le integrative applicando le sanzioni e poi eventualmente chiederne il rimborso.

In caso di ravvedimento, ricordiamo infine che entro il mese di febbraio è possibile ripresentare la dichiarazione 2020 nei 90 giorni, per cui (venendo meno l’ipotesi di dichiarazione infedele) le uniche sanzioni di cui si dovrebbe discutere sono quelle relative al carente o omesso versamento. Anche su questo aspetto una conferma ufficiale sarebbe molto utile per consentire alle imprese di regolarizzare senza costi ulteriori una situazione che non si è creata per loro volontà.

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