Controlli e liti

Accollo dei tributi ad alto rischio

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di Rosanna Acierno

Estringuere il debito fiscale tramite l’accollo dell’obbligazione tributaria da parte di un terzo soggetto, senza liberazione del debitore originario: è una possibilità prevista dall’articolo 8 dello Statuto dei diritti del contribuente (legge 212/2000). Può succedere che in tempi di crisi alcune società propongano a imprese, anche individuali, di accollarsi i loro debiti con il Fisco, pagando con propri crediti le imposte e i contributi previdenziali dovuti da queste ultime e chiedendo la corresponsione soltanto di una parte del valore nominale del debito compensato. In pratica è una formula inversa rispetto alla “vendita” del credito d’imposta, spesso oggetto di truffe e contestazioni (si veda Il Sole 24 Ore del 15 maggio).

Vedi il grafico con le contestazioni e le contromosse

La formula

Con il meccanismo di accollo tributario, il debito viene pagato da una terza società, definita accollante, tramite propri crediti fiscali, con il codice «62» nel modello F24 e non appena l’accollato vede sul proprio cassetto fiscale l’estinzione del debito, corrisponde all’accollante una parte del valore nominale del debito compensato (generalmente pari al 75% - 80%). Il contratto di accollo è registrato presso l’agenzia delle Entrate e la compensazione, se del caso, avviene previa apposizione del visto di conformità in dichiarazione.

Ciò viene giustificato in base al fatto che il credito d’imposta in capo all’accollante è di difficile utilizzo, essendo, di solito, di ingente entità e relativo, talvolta, a vecchie agevolazioni.

Le possibili contestazioni

Queste operazioni, però, spesso finiscono nel mirino delle Entrate, che le contestano sotto diversi profili.

Va detto, in primis, che con l’accollo non è prevista la liberazione del debitore originario: quindi, se per una qualsiasi ragione il pagamento viene messo in discussione (anche in ragione della sola impossibilità di estinguere il debito dell’accollato con utilizzo del credito d’imposta dell’accollante), l’Erario ben può pretendere il pagamento degli stessi importi dall’accollato. In alcuni casi, infatti, i crediti vantati dalle società accollanti si sono di fatto rilevati inesistenti e le imprese hanno scoperto di essere state vittime di truffe e raggiri solo in seguito alle contestazioni delle Entrate.

Vediamo allora quali potrebbero essere, in questi casi, gli effetti, nei confronti dell’accollato, di un eventuale disconoscimento del credito d’imposta usato dall’accollante.

In primo luogo, quale che sia la natura del credito, potrebbe accadere che l’agenzia delle Entrate a livello centrale emetta nei confronti dell’accollato un avviso bonario (in base all’articolo 36-bis del Dpr 600/73 e/o all’articolo 54-bis del Dpr 633/72), perché il sistema vedrebbe il pagamento di un debito tramite compensazione di un credito che non emerge dalla dichiarazione, con conseguente richiesta non solo delle imposte dovute, ma anche delle sanzioni al 30% (articolo 13 del Dlgs 471/97) per utilizzo di crediti non spettanti, riducibili al 10% se il pagamento avviene, anche in forma dilazionata, entro 30 giorni dalla notifica della comunicazione.

Potrebbe accadere anche che la direzione provinciale dell’agenzia delle Entrate emetta, contestualmente e sempre nei confronti dell’accollato, un atto di recupero del credito di imposta in base all’articolo 1, comma 421 della legge 311/2004, con richiesta non solo delle imposte dovute, ma anche delle sanzioni dal 100% al 200% non definibili in maniera agevolata e immediatamente esigibili, per uso di crediti inesistenti.

Infine, non si può escludere la responsabilità penale dell’accollato per il reato di indebita compensazione sia di crediti non spettanti, sia di crediti inesistenti per un importo annuo superiore a 50mila euro (articolo 10-quater del Dlgs 74/2000), ove l’accusa contestasse il concorso nel reato con l’accollante.

Vedi il grafico con le contestazioni e le contromosse

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