Imposte

Acquisti in reverse con promotore da avviare con cautela

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di Matteo Balzanelli, Massimo Sirri e Riccardo Zavatta

La “costruzione” di operazioni complesse che coinvolgono la posizione Iva assunta in un altro Stato Ue va valutata attentamente. È il caso dell’operatore nazionale che propone a un cliente nazionale la fornitura di merce proveniente da un altro Stato membro (ad esempio la Francia), che sarà certificata dalla fattura del rappresentante fiscale del fornitore in un altro Stato membro (ad esempio, la Spagna) in veste di promotore della triangolazione. L’acquirente residente potrebbe trovare conveniente l’operazione. Infatti, riceverebbe fattura per un acquisto intracomunitario (secondo lo schema: Francia - rappresentante fiscale spagnolo di It1 - It2) con cui è designato debitore dell’imposta in reverse charge: quindi, potrebbe evitare l’esborso dell’Iva altrimenti applicata dal fornitore nazionale per la normale vendita interna successiva all’acquisto intracomunitario (secondo lo schema: Francia - It1 - It2).

L’impostazione va confrontata con le disposizioni della direttiva 2006/112. In base all’articolo 141, lettera a), che contiene la disciplina delle triangolazioni comunitarie, è previsto che l’acquisto intracomunitario non sia soggetto a imposta nello Stato di destinazione dei beni, quando, nel rispetto delle altre condizioni, è posto in essere «da un soggetto passivo non stabilito» in tale Stato. Il che non avverrebbe nell’esempio proposto, ove si attribuisca rilievo al fatto “sostanziale” che il primo operatore (It1), che effettua l’acquisto dei beni provenienti dalla Francia ai fini della successiva vendita ad altro soggetto nazionale (It2), in realtà, «è stabilito» nello Stato di destinazione (Italia), mentre è solamente altrove identificato (Spagna).

La situazione si configura come speculare rispetto a quella trattata nella sentenza C-580/16 (articolo a fianco), nella quale a essere stabiliti nello stesso Paese sono il primo cedente e il promotore della triangolazione, il quale agisce tramite il numero identificativo di uno Stato diverso da quello del fornitore e da quello di destinazione.

Valorizzando l’indicazione dei giudici europei, secondo i quali occorre tener conto soltanto dell’identificazione con cui è effettuato l’acquisto intracomunitario (punto 38 della sentenza) e il principio in base al quale gli operatori devono essere liberi di organizzare al meglio le proprie attività (punto 42), potrebbe allora concludersi che anche quella esemplificata sia qualificabile come triangolare comunitaria, con conseguente assolvimento dell’imposta in inversione contabile da parte del cessionario finale (cioè It2).

Una conferma ufficiale da parte del Fisco è tuttavia opportuna. E ciò, da un lato, perché non si pongono qui specifiche questioni di semplificazione volte a evitare che i soggetti debbano identificarsi in più Paesi per eseguire le loro operazioni, posto che, nell’esempio, il promotore è (già) stabilito e identificato in Italia, Paese di destinazione dei beni, e che la nomina di un rappresentante non è necessaria per dar corso all’operazione. Dall’altro lato, prima di legittimare una lettura estensiva della sentenza, occorre anche considerare che il dato letterale dell’articolo 38, comma 7, Dl 331/1993, trattando della tassazione dell’acquisto intracomunitario in Italia, quale Stato di destinazione dei beni in attuazione di una triangolare, si riferisce al promotore in termini di «soggetto passivo d’imposta in altro Stato membro».

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