Aliquote Iva differenziate solo se «neutrali»
Non è incompatibile con la disciplina Iva unionale una norma interna che subordini a determinate condizioni l'applicazione dell'aliquota Iva ridotta ai prodotti elencati nell'allegato III della direttiva Iva.
È il principio desumibile dall'assunto della Corte di giustizia, nella sentenza C-499/16 depositata ieri. Nello specifico la Corte ha affermato che, purché sia rispettato il principio di neutralità fiscale, far dipendere l'applicazione dell'aliquota Iva agevolata ai prodotti di pasticceria freschi dal solo criterio del «termine minimo di conservazione» o «della data di scadenza» non comporta violazione dell'articolo 98 della direttiva. Tale norma conferisce agli Stati membri il potere di applicare una o due aliquote ridotte rispetto a quella ordinaria, a condizione che si tratti di un bene o di un servizio rientrante in una delle categorie elencate nell'allegato III della direttiva. Sempre gli Stati membri possono determinare con maggiore precisione, tra le cessioni di beni e le prestazioni di servizi suscettibili del trattamento Iva agevolato, quelle alle quali applicare in effetti l'aliquota ridotta. Tale possibilità di “selezione” –spiega la Corte – trova giustificazione nel fatto che le aliquote ridotte costituiscono un'eccezione. È quindi il carattere della loro eccezionalità che permette di condizionarne l'applicazione, subordinandola ad elementi concreti e specifici di una categoria di beni o prestazioni. E ciò in coerenza con il principio secondo il quale le esenzioni e le deroghe devono essere interpretate in senso restrittivo. Anche l'ordinamento italiano spesso distingue – ricorrendo di regola all'ausilio della nomenclatura combinata – il trattamento Iva applicabile sulla base di determinate caratteristiche e stati della materia (è il caso della Rm 76/E/2015 o della Rm 392/E/2002).
C'è un altro aspetto che non va trascurato. Si tratta della necessità che sia tutelato un altro principio cardine dell'ordinamento unionale, quello della neutralità fiscale. Tale principio osta che beni o servizi simili, che si trovano in concorrenza tra loro, siano trattati in modo diverso dal punto di vista dell'Iva. Al riguardo, in precedenti pronunce, la Corte ha definito come simili beni o prestazioni di servizi laddove presentino proprietà analoghe e rispondano alle medesime esigenze del consumatore medio, essendo comparabili nell'uso e laddove, seppure esistenti delle differenze tra loro, esse non influiscano in modo significativo sulla decisione del consumatore di optare per l'uno o per l'altro.
La decisione di ieri può essere letta nel più ampio panorama di “liberalizzazione” o comunque di ammodernamento delle aliquote Iva sul piano unionale. La proposta avanzata in questo senso dal Piano d'azione Iva 2016 – che entro la fine del 2017 dovrebbe trasformarsi in una riforma a tutti gli effetti – e diretta all'ampliamento e riesame periodico dell'elenco di beni e servizi ammissibili alle aliquote ridotte, ovvero, nell'ipotesi alternativa e più estrema, diretta all'abolizione dell'elenco, lascerebbe al riguardo una libertà ancora più ampia agli Stati, permettendo loro di adottare più rapidamente le decisioni che desiderano in materia di politica fiscale delle aliquote Iva e sollevando l'Unione da controversie talvolta inutili.
Sempre ieri è stata depositata un'altra sentenza della Corte, causa C-552/16. Il tema, completamente diverso dal precedente, riguarda gli effetti sul diritto alla detrazione dell'obbligo di liquidare l'Iva sugli attivi esistenti e di versare l'imposta liquidata allo Stato nel momento che, in seguito allo scioglimento della società per decisione giudiziaria, si è provveduto alla sua cancellazione dal registro Iva. Al riguardo – afferma la Corte – una norma nazionale che prevede questo obbligo non sarebbe in contrasto con le norme Ue, a condizione che la società non effettui più operazioni economiche a partire dal suo scioglimento. In caso contrario, il diritto alla detrazione sarebbe subordinato ad un limite non previsto dall'articolo 168 della Direttiva e, pertanto, con esso incompatibile.
La sentenza nella causa C-499/16