Controlli e liti

Alla Consulta la perdita automatica dei benefici per autodichiarazione non veritiera

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di Maria Alessandra Sandulli

Il Tar Lecce con l’ordinanza ordinanza 1346 del 17 settembre ha chiesto alla Corte costituzionale di vagliare la ragionevolezza della regula iuris (rinvenuta dalla giurisprudenza nell’articolo 75 del Dpr 445/2000) che prevede l’automatica decadenza dai benefici ottenuti dal privato in forza di un’autodichiarazione non veritiera.

La questione è della massima rilevanza in un momento in cui, in nome della semplificazione, il privato è sempre più spesso chiamato a rendere autodichiarazioni, anche su circostanze che involgono valutazioni su profili opinabili (come quelle che attengono alla sussistenza di requisiti e presupposti che l’incertezza del quadro normativo e giurisprudenziale non consente di individuare con la sicurezza propria della dichiarazione di un “fatto” di oggettiva evidenza). Accade così che, anche a distanza di anni, l’amministrazione abbia facile gioco ad assumere la non veridicità di una delle sempre più numerose dichiarazioni richiesta all’interessato (anche senza la garanzia dell’accertamento del falso in sede penale o, comunque, dei più rigorosi presupposti che si richiederebbero in tale sede) per dichiarare la decadenza dai benefici ottenuti (anche in forza di un provvedimento o un contratto espresso) all’esito della sua presentazione. Lo strumento è anzi utilizzato per eludere il rispetto dei limiti temporali e motivazionali che regolano ormai non soltanto il potere sanzionatorio, ma anche quello di autoannullamento (nonostante il Consiglio di Stato nei pareri sui decreti Scia1 e Scia2 avesse significativamente incluso la decadenza tra i casi di «annullamento travestito»).

Il Tar Lecce rileva dunque l’ingiustizia dell’effetto decadenziale automatico che, secondo gli interpreti, si ricaverebbe dall’articolo 75 del Dpr 445/2000, annullando totalmente la discrezionalità dell’Amministrazione nella valutazione dell’autodichiarazione, e ne denuncia il potenziale contrasto con i principi di ragionevolezza, proporzionalità e uguaglianza sanciti dall’articolo 3 della Costituzione.

L’ordinanza pone in particolare l’accento sul criterio di proporzionalità («diretta espressione del canone della ragionevolezza»), correttamente sottolineando che la totale assenza di legame con la fattispecie concreta e l’eccessiva rigidità applicativa della norma:
■prescinde dall’effettiva gravità del fatto contestato;
■commina la sanzione in oggetto anche nelle ipotesi in cui la presunta non veridicità della dichiarazione concerna profili di minima rilevanza;
■esclude in toto la possibilità per l’Amministrazione di valutare in sede procedimentale l’elemento soggettivo della dichiarazione.

Non resta che confidare in un sollecito intervento della Corte costituzionale, che sappia bilanciare l’esigenza di limitare un fraudolento utilizzo degli strumenti di semplificazione con quella – speculare – di evitare che essi si ritorcano contro gli operatori e gli investitori, esponendoli a una eterna incertezza sulla stabilità dei benefici (e, più in generale, dei titoli) acquisiti senza un’effettiva volontà ingannatoria.

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