Controlli e liti

Alla voluntary bis servono meno rigidità applicative

di Dario De Santis ed Eugenio Della Valle

Con la pubblicazione sul sito dell’agenzia delle Entrate del modello di istanza di adesione alla voluntary bis (con le relative istruzioni e la bozza di relazione di accompagnamento all’istanza medesima), assumono contorni definitivi le modalità pratiche di determinazione degli importi dovuti a titolo di imposte e sanzioni.
Questi documenti parrebbero recepire (salva comunque l’esplicita conferma da parte dell’agenzia delle Entrate in una futura circolare esplicativa) le istanze degli operatori volte al superamento di quei fattori che ostano al successo della nuova edizione della voluntary legato, come noto, alla regolarizzazione del contante e dei valori al portatore ovunque detenuti.
Il testo del Dl 193/2016 (emendato in sede di conversione nella legge 225/2016), nel contenere una presunzione relativa di imponibilità integrale in base alla quale si ritiene, salvo prova contraria, che contanti e valori al portatore derivino da redditi conseguiti, in quote costanti, da condotte di evasione fiscale commesse, e quindi da tassare, nel 2015 e nei quattro periodi d’imposta precedenti, rappresenta un passo importante, ma da solo non sufficiente per promuovere efficacemente la seconda edizione della voluntary.
A tal fine occorre, infatti, superare definitivamente l’impedimento che fino ad oggi ha ostacolato l’emersione del contante ossia la non facile dimostrazione da parte del contribuente dell’origine, anche sotto il profilo temporale, e della eventuale natura non reddituale delle medesime disponibilità, non potendosi regolarizzare somme relative ad annualità chiuse, né fornire la prova dell’origine del contante, sia detenuto all’estero che in Italia, tramite autocertificazione (cfr. Circolari dell’Agenzia delle Entrate nn. 27/E e 31/E del 2015).
Ebbene, quanto al contante, nel nuovo modello di istanza è stata inserita una casella concernente la dichiarazione che l’origine delle somme o dei valori al portatore non deriva da condotte ascrivibili a reati diversi da quelli tributari coperti dalla procedura in oggetto (rimanendo comunque necessaria la dichiarazione sostitutiva di atto notorio circa l’origine delle somme da regolarizzare, a cui auspicabilmente dovrebbe darsi valore di “prova” superabile solo con il suo successivo documentato “disconoscimento” da parte dell’Amministrazione finanziaria), mentre nella relazione che correda l’istanza occorre menzionare il fatto che la procedura ha eventualmente ad oggetto anche contanti o altri valori al portatore.
Non essendo quindi richiesto al contribuente di fornire particolari prove circa l’origine, anche temporale, e la natura delle somme da regolarizzare (prove spesso impossibili da fornire), al di là della menzionata declaratoria di assenza di determinati reati “presupposto”, sembra potersi sostenere che l’autocertificazione da prestarsi nella forma di atto notorio, penalmente sanzionata ove non veritiera, abbia conquistato finalmente il rango di «prova attendibile» per dimostrare l’origine e la natura delle somme emerse.
Cosicchè, se l’autocertificazione riconduce ad anni accertabili le somme emerse (diversamente la voluntary non sarebbe ammissibile), le stesse vanno evidentemente tassate presuntivamente su cinque annualità (con l’auspicio che l’Agenzia metta a disposizione al riguardo un apposito software di calcolo), a meno che il contribuente non attesti la natura “non reddituale” delle somme in questione; in ciò rivelandosi dunque l’utilità della tassazione presuntiva spalmata in 5 anni e della mera autocertificazione presentata in assenza di imposte dovute, ossia nel consentire la voluntary in tutti i casi in cui non sarebbe possibile un preciso riferimento temporale quanto all’origine del contante e comunque, in definitiva, nel consentire l’emersione di somme altrimenti inutilizzabili nel circuito economico “regolare”.

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