Anche per le controllate estere gli interessi passivi sono deducibili
Sul diritto di stabilimento l’avvocato generale della Corte di Giustizia Ue nelle cause riunite C-398/16 e C-399/16 entra nel merito della deducibilità delle spese per interessi passivi. Nella fattispecie, causa C-398/16, l’amministrazione finanziaria olandese aveva negato la deducibilità di interessi su finanziamenti impiegati per capitalizzare una società controllata estera posto che la normativa nazionale consentiva tale deduzione per le sole operazioni intercorse tra società rientranti nel perimetro del consolidato fiscale nazionale. Secondo l’avvocato generale , sotto il profilo della deducibilità degli interessi passivi, una società residente che detiene il controllo di una società non residente verserebbe in una situazione comparabile a quella di una società residente che consolidi una propria controllata residente e, pertanto, una volta esclusa l’esistenza di una causa giustificatrice, la disciplina nazionale configurerebbe una violazione del diritto di stabilimento.
Questi principi si possono estendere ad alcuni regimi fiscali italiani, come la compensabilità intersoggettiva (ex articolo 96, comma 7 Tuir), all’interno del perimetro di consolidamento fiscale (i) degli interessi passivi indeducibili in capo alle società che li hanno sostenuti e (ii) delle eccedenze di Rol conseguite da altre società che abbiano optato per il regime di cui agli articoli 117 e seguenti del Tuir. Il Decreto Internazionale ha abrogato la norma sull’utilizzo del Rol virtuale estero dell’articolo 96, comma 8 del Tuir e quindi la compensabilità di tale Rol è oggi negata in radice.
Il divieto per le società italiane di dedurre gli interessi passivi sostenuti da società residenti in altri Stati membri (prive di stabili organizzazioni in Italia) appare conseguente alla diversa situazione giuridica di queste società, rispetto alle società residenti in Italia. Infatti, gli interessi passivi in parola sono estranei al perimetro della potestà impositiva italiana ai fini Ires. Non sembra, pertanto, ravvisabile alcuna restrizione della libertà di stabilimento.
La questione relativa al divieto di prendere in considerazione il Rol estero appare più complessa. Si potrebbe argomentare che la fattispecie interna e quella transfrontaliera siano in questo caso comparabili (con violazione del diritto Ue), poiché in entrambe le fattispecie la deduzione concerne unicamente interessi passivi sostenuti da società residenti facenti parte di un gruppo (punto 71 delle conclusioni).
La conseguente restrizione della libertà di stabilimento potrebbe, tuttavia, essere giustificata dalle seguenti ragioni imperative: la necessità di garantire la coerenza del sistema fiscale, in quanto all’effetto positivo della deduzione degli interessi passivi in capo ad una società del gruppo corrisponderebbe in via diretta l’effetto negativo della non riportabilità delle eccedenze di Rol in capo un’altra società residente del gruppo. Tale nesso diretto sarebbe viceversa assente nel caso di Rol estero, in quanto la posizione fiscale della controllata estera sarebbe estranea al perimetro Ires e non subirebbe dunque alcun effetto negativo in ragione della presa in carico del Rol estero da parte della società residente. In secondo luogo, la mancata estensione della disciplina in oggetto al Rol estero eliminerebbe in radice la possibilità di una duplice utilizzazione dell’eccedenza di Rol estero, ovverosia in Italia e nello Stato della società che presenti tale eccedenza di Rol (qualora tale Stato adotti un regime simile a quello italiano, cosa probabile in futuro per effetto degli articoli 4 e 11 della Direttiva 2016/1164).
Causa C-398/16 - Le conclusioni dell’avvocato generale