Controlli e liti

Antieconomicità da misurare con l’intera strategia aziendale

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di Gianfranco Ferranti

La Corte di cassazione ha recentemente affermato, nella ordinanza 22879/2017, la «inestensibilità delle regole delimitative del transfer pricing alle imprese residenti», applicando, di fatto, la norma di interpretazione autentica contenuta nell’articolo 5, comma 2, del Dlgs 147/2015. Anche per la rettifica di tali transazioni occorre, pertanto, la presenza di ulteriori elementi probatori.

È stato in tal modo correttamente abbandonato il precedente orientamento interpretativo (si veda, da ultimo, la sentenza 12844/2015) secondo il quale il principio del valore normale costituirebbe uno strumento generale di controllo dei corrispettivi. Tale principio risulta, invece, applicabile soltanto in presenza di componenti reddituali “in natura” e nei casi in cui lo stesso è espressamente richiamato da altre disposizioni normative.

La congruità dei corrispettivi delle transazioni è sindacabile in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, configurabile in presenza non soltanto di uno scostamento del corrispettivo rispetto al valore di mercato dei beni o dei servizi oggetto della transazione ma anche di altre circostanze o argomentazioni probatorie in grado di configurare le presunzioni gravi, precise e concordanti che consentono l’effettuazione dell’accertamento analitico-induttivo di cui all’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973, pur in presenza di una contabilità formalmente corretta.

Il comportamento antieconomico deve essere, di conseguenza, valutato tenendo conto dell’economicità complessiva risultante dall’intera situazione contrattuale e aziendale, come affermato dalla Cassazione nelle sentenze 6337/2002,10802/2002 e 19408/2015.

Anche l’Assonime ha affermato, nella circolare 16/2009, che è necessario tenere presente che l’operato dell’imprenditore «potrebbe essere ricondotto a complesse strategie imprenditoriali rispetto alle quali la singola operazione oggetto di analisi da parte dell’ufficio costituisce solo un tassello (...) A titolo di esempio, si potrebbero citare i casi in cui l’impresa rende servizi sottocosto come quando, nel caso di franchising, l’impresa produttrice dia in uso dei locali ai venditori a condizioni più favorevoli di quelle di mercato per incentivare la diffusione di prodotti caratterizzati da un determinato marchio, oppure i casi in cui l’impresa concede in comodato gratuito i macchinari con i quali il comodatario deve svolgere lavori a favore della medesima impresa comodante, o ancora, i casi di vendite sottocosto per motivi di penetrazione del mercato».

Lo stesso orientamento è desumibile, sia pure implicitamente, dalla nota dell’agenzia delle Entrate 55440/2008, nella quale è stato precisato che gli uffici devono rettificare i componenti reddituali considerati anomali rispetto alle “dimensioni” e alla tipologia dell’attività dell’impresa ed evidenziare i motivi per i quali la scelta operativa del contribuente è ritenuta antieconomica nonché la “corretta entità” del componente rettificato, in modo da ricondurlo ad un carattere di normalità.

Devono essere, altresì, rispettate le valutazioni di strategia commerciale riservate all’imprenditore, come stabilito dalla Cassazione nelle sentenze 10319/2015, 6320/2016 e 21405/2017.

Appare, infine, necessario che si tratti di situazioni di effettivo arbitraggio fiscale – come affermato dalla Suprema corte nella ordinanza 22879/2017, nella quale è stato fatto riferimento alla «invarianza per il gettito fiscale connessa alla tassazione comunque avvenuta sulla capogruppo» – e che siano evitare duplicazioni impositive.

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