Autoriciclaggio ad ampio spettro
Aumentano le ipotesi in cui è possibile configurare l’
La fattispecie infatti è presente nel nostro ordinamento dal 1° gennaio 2015 (articolo 648-ter del Codice penale) e sostanzialmente punisce chiunque abbia commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, provvedendo successivamente alla sostituzione, trasferimento, impiego in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa del denaro, beni o altre utilità provenienti dalla commissione proprio di tale reato.
Proprio di recente (si veda «Il Sole 24 Ore» del 22 settembre) la Cassazione penale ( sentenza 43144/2017 ) è intervenuta a proposito del
Secondo i giudici di legittimità, tale illecito non deve necessariamente essere in sé produttivo di attività economiche illecite (da riciclare o reimpiegare). Nella specie è stato ritenuto che il reato di interposizione fittizia di quote societarie può generare autoriciclaggio. Questa rigorosa interpretazione deve far riflettere, perché potrebbe ampliare di parecchio il perimetro dei delitti di riciclaggio.
In sostanza, sinora, la maggior parte della dottrina, ha sostenuto che il reato presupposto affinché fosse idoneo a determinare il successivo delitto di riciclaggio (o autoriciclaggio) doveva generare proventi illeciti da reimpiegare o reinvestire.
Si pensi, ad esempio, allo spaccio di stupefacenti, all’usura, alla dichiarazione fraudolenta, alla bancarotta e al contrabbando (tutti reati fonte), che generano somme o utilità le quali, successivamente, vengono impiegate, investite eccetera.
Secondo i giudici di legittimità, questa prospettiva - definita “naturalistica”, nel senso che correla l’oggetto del riciclaggio o del reimpiego all’oggetto del delitto presupposto - non è condivisibile. Da qui la decisione di ritenere anche il delitto di intestazione fittizia (nella specie, di quote societarie) presupposto dell’autoriciclaggio nonostante, a ben vedere, le somme prodotte dall’attività fittiziamente intestata non fossero illecite.
Va da sé che, alla luce di questa interpretazione si amplia sensibilmente il campo di azione dei delitti di riciclaggio: qualunque delitto che generi beni, utilità o denaro (non illeciti) potrebbe determinare il successivo riciclaggio solo in virtù del semplice trasferimento.
Sempre la Cassazione, con un’altra recente sentenza (la 42561/2017 ), intervenuta per la conferma di misure cautelari, ha avallato la ricostruzione dell’accusa secondo cui il consulente di alcune imprese era ritenuto responsabile di autoriciclaggio in concorso con l’imprenditore suo cliente in quanto, con condotte diverse, si trasferiva e sostituiva tramite alcune società, in attività economiche e finanziarie, il denaro proveniente dalla commissione del delitto non colposo di bancarotta. Nei confronti del consulente, in particolare, gli indizi di colpevolezza sono stati principalmente centrati sulla tenuta in modo irregolare e confuso delle scritture contabili di una delle società e sull’omissione della segnalazione dell’operazione sospetta commessa dal cliente (trasferimento di fondi da una società all’altra).
È da considerare, infine, che il termine di prescrizione del reato-fonte non ha riflessi sul riciclaggio. Così la prescrizione per questi delitti inizia a decorrere da quando si reimpiega il denaro o si pongono in essere le altre condotte. Ne consegue, ad esempio, che chi ha commesso un reato parecchi anni fa, qualora reimpiegasse ora il denaro frutto dell’illecito, risponde di autoriciclaggio, nel caso in cui ovviamente l’accusa provi l’esistenza della violazione non potendosi solo presumere (Cassazione, seconda sezione penale, sentenza 13901/2016 in un caso di rientro di capitali da parte dell’erede).