Controlli e liti

Cessioni d’azienda, la mancata richiesta dei carichi non aumenta le responsabilità

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di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Nella cessione di azienda la mancata richiesta del certificato dei carichi pendenti da parte del cessionario non comporta un’automatica estensione della sua responsabilità . È necessario, infatti, che la violazione sia stata commessa dal cedente nell’anno in cui sia avvenuta la cessione e nei due precedenti, ovvero che si tratti di sanzioni già irrogate e contestate nel medesimo periodo risultanti dagli atti dell’ufficio, anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore. A fornire questo principio, che modifica il precedente orientamento, è la Cassazione con la sentenza n. 17264/2017.

Secondo l’articolo 14 del Dlgs 472/97, nella cessione di azienda o di ramo di azienda il cessionario risponde in solido con il cedente nel pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.

Gli uffici devono rilasciare a richiesta dell’acquirente un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti riferiti all’azienda oggetto di cessione. Se nel certificato non emergono debiti erariali ovvero in caso di mancata risposta da parte dell’ufficio competente nel termine di 40 giorni, il cessionario è liberato da ogni obbligazione e non dovrà rispondere di alcun debito del cedente.

Le limitazioni della responsabilità di chi acquista l’azienda, anche con titolo diverso dalla compravendita, operano in parte automaticamente e, in alcuni casi, su richiesta dell’interessato. La prima importante garanzia in favore del cessionario è rappresentata dall’obbligo di preventiva escussione del cedente. L’amministrazione può, in sostanza, rivalersi solo quando il credito non viene soddisfatto con le disponibilità del venditore. L’acquirente risponde poi dei soli debiti tributari risultanti alla data del trasferimento: in altre parole, occorre considerare solo le somme risultanti già negli atti dell’amministrazione alla data della compravendita.

Secondo l’agenzia delle Entrate (circolare n. 180/98) soltanto ciò che risulta notificato o constatato al venditore fino alla data del trasferimento può essere preteso in via solidale e sussidiaria anche dall’acquirente.

La responsabilità solidale è quantitativamente limitata al prezzo dell’azienda acquisita ovvero, alla luce delle nuove previsioni, al valore indicato nell’atto di trasferimento.

L’amministrazione, prima di “aggredire” il soggetto subentrato nell’azienda, dovrebbe riscontrare sia il debito alla data del trasferimento, sia il valore di cui dovrebbe rispondere il nuovo soggetto. Tuttavia gli uffici di sovente notificano al cessionario provvedimenti a prescindere da tali limiti.

La Suprema Corte ha ritenuto (n.5979/2014, 9219/2017) che la certificazione richiesta dal cessionario sia condizione necessaria per avvalersi dell’eventuale effetto liberatorio. In sua assenza il cessionario è responsabile insieme al cedente a prescindere dal momento della contestazione della violazione e dal periodo di imposta in cui sia stata commessa.

Con la recente sentenza i giudici hanno ritenuto, invece, che una simile interpretazione comporterebbe una più estesa responsabilità del cessionario, e finirebbe per avvicinare il regime della cessione conforme a legge, ingiustificatamente e in contrasto con il dettato normativo, a quello previsto per il caso di frode. Per tale ragione, secondo il più recente orientamento della Cassazione, la mancata richiesta del certificato impedisce al cessionario soltanto di avvalersi dell’eventuale effetto liberatorio anticipato ma non comporta un’estensione della sua responsabilità.

Corte di Cassazione, sentenza n. 17264/2017

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