Imposte

Circolari 24/Rinuncia al credito non tassabile fino al valore fiscale

di Michele Brusaterra

La rinuncia al credito da parte del socio non rappresenta sopravvenienza attiva per la società, ma solo fino a concorrenza del valore fiscale riconosciuto in capo al socio stesso. Tale valore fiscale deve essere attestato da quest'ultimo.

Dal 2016, facendo riferimento agli esercizi che coincidono con l'anno solare, le disposizioni fiscali, relative alla rinuncia ai crediti da parte dei soci e al trattamento fiscale in capo alla società della sopravvenienza, sono cambiate per effetto dell'intervento del decreto internazionalizzazione 147/2015, che ha modificato l'art. 88, comma 4, Tuir.

La precedente normativa stabiliva semplicemente che non costituiva sopravvenienza attiva la rinuncia al credito da parte del socio.

Dal 2016, le condizioni poste dall'art. 13 Dlgs 147/2015, attraverso l'art. 88, comma 4-bis, sono due: da una parte viene stabilito che non costituisce sopravvenienza attiva la rinuncia al credito da parte del socio, solo per la parte di credito che, per il socio stesso, non eccede il valore fiscalmente riconosciuto. Si tratta di una norma cautelativa, in quanto vuole evitare che, a fronte di un credito che fiscalmente ha già dato benefici al socio, ad esempio sotto forma di svalutazione o perdita deducibile, possa attribuire un beneficio pieno anche alla società, sotto forma di sopravvenienza completamente detassata.

Stabilisce, sempre il comma 4-bis che, al fine di attestare il valore fiscale, il socio deve rilasciare alla società dichiarazione sostitutiva di atto notorio, nella quale deve indicare il valore fiscalmente riconosciuto del credito stesso. Ove non fosse presentata tale dichiarazione, viene stabilito, con presunzione assoluta, che il valore fiscale del credito sia pari a zero, con contestuale tassazione dell'intera sopravvenienza attiva in capo alla società.

Nel caso in cui il socio convertisse la rinuncia al credito in partecipazione, il valore fiscale della partecipazione è data sempre dal valore fiscale del credito, come sopra indicato, ma al netto dell'eventuale perdita su crediti deducibile realizzata dal creditore per effetto della conversione del credito stesso in partecipazione.

A tal proposito, l'art. 94, comma 6, Tuir, sempre modificato dal decreto internazionalizzazione, dispone altresì, con riferimento al socio che rinuncia al credito, che tale rinuncia, così come anche l'ammontare dei versamenti fatti a fondo perduto o in conto capitale, deve andare ad aggiungersi «al costo dei titoli e delle quote», ma sempre nei limiti del valore fiscale del credito che è oggetto di rinuncia.

Visto l'avvicinarsi del momento dichiarativo, è bene tenere in considerazione anche il fatto che l'art. 46 Tuir stabilisce letteralmente che «le somme versate alle società commerciali e agli enti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera b) (ossia gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali, ndA), dai loro soci o partecipanti si considerano date a mutuo se dai bilanci o dai rendiconti di tali soggetti non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo».

Si tratta, dunque, di una presunzione relativa, che può essere "vinta", come prescrive la norma, dimostrando, da parte della società, che il finanziamento è stato effettuato senza remunerazione, ossia che è infruttifero.

Per ulteriori approfondimenti vai alla sezione «Circolari 24» del Quotidiano del Fisco

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