ApprofondimentoDiritto

Compravendita immobiliare: vizi, irregolarità e anomalie del contratto

di Augusto Cirla e Maddalena Cirla

N. 46

Settimana Fiscale

Nel contratto di compravendita immobiliare esistono “patologie” che ne possono affliggere la validità e l’efficacia. L’analisi si concentra, in particolare, sui vizi del contratto, sulle difformità materiali e giuridiche dell’immobile, sull’inadempimento delle obbligazioni delle parti e sui regimi di tutela speciale previsti per l’acquirente. L’obiettivo è fornire un quadro operativo degli istituti giuridici, dei rimedi sperimentabili e degli orientamenti giurisprudenziali più recenti in materia.

Questo articolo è tratto dalla Guida del Sole 24 Ore “Casa, acquisto e vendita” di Augusto Cirla e Maddalena Cirla, in edicola dall’11 dicembre e disponibile online su: https://24oreprofessionale.ilsole24ore.com/24orepro/casa-acquisto-e-vendita.html

La scelta tra adempimento e risoluzione contrattuale

Per la risoluzione, l’inadempimento deve essere di non scarsa importanza. L’onere della prova è ripartito: il creditore deve provare la fonte del suo diritto e allegare l’inadempimento, mentre il debitore deve provare il fatto estintivo (l’avvenuto adempimento).

Quando l’assetto contrattuale programmato non è più in grado di soddisfare gli interessi contrapposti delle parti, il rimedio predisposto dall’ordinamento è la risoluzione del contratto che mira a riequilibrare la posizione dei contraenti, eliminando fin dall’origine non il contratto in sé, quanto i suoi effetti.

Dalla dichiarazione della risoluzione del contratto derivano gli ordinari effetti restitutori che tendono a ripristinare sin dall’origine la situazione antecedente al contratto di compravendita.

Non essendo implicite le pretese restitutorie nella richiesta di risoluzione del contatto, è necessaria una specifica domanda.

Il diritto al risarcimento del danno da mancato godimento del bene

Nell’ambito della compravendita immobiliare, quando inadempiente è l’acquirente, al venditore è riconosciuto il diritto al risarcimento del pregiudizio subito e del danno conseguente alla mancata disponibilità del bene.

Pertanto, a seguito della pronuncia di risoluzione di una compravendita immobiliare in ragione del mancato pagamento del prezzo da parte del compratore, il venditore adempiente, conseguendo con la restituzione del bene solo in parte alla riparazione del pregiudizio subito, con riguardo al danno emergente ha diritto all’ulteriore risarcimento connesso alla mancata disponibilità dell’immobile, cioè il reddito che avrebbe potuto ricavare ove il bene fosse rimasto nella sua disponibilità (lucro cessante), determinabile con riferimento al valore locativo dell’immobile maturato nel periodo di tempo intercorrente tra la data della consegna all’acquirente e quella della sua restituzione.

Non può, tuttavia, pretendere in aggiunta a tale risarcimento il reddito da mancato reinvestimento del prezzo della compravendita, a lui non corrisposto, perché ciò comporterebbe un ingiustificato duplice risarcimento dello stesso danno.

Il danno da mancato godimento del bene è un danno sempre esistente e perciò viene denominato “danno figurativo”, che non va compensato con l’eventuale aumento di valore nel tempo dell’immobile, giacché il vantaggio patrimoniale conseguito dal soggetto danneggiato deve costituire una conseguenza immediata dell’inadempimento o del comportamento illecito, che manca quando l’incremento patrimoniale di cui si chieda la detrazione dal pregiudizio derivato al danneggiato sia riferibile ad una particolare condizione della cosa di cui ricorreva l’obbligo della riconsegna.

Il risarcimento del danno dovuto al promissario acquirente

Quando l’inadempimento è della parte venditrice l’acquirente può chiedere il danno emergente, ma non anche il maggior valore che il venditore alienando successivamente il bene ad un terzo consegua da questi, sicché nell’ipotesi di risoluzione di contratto di compravendita di immobile il cui prezzo sia stato interamente pagato, il mancato guadagno, da risarcire a norma dell’articolo 1223 Codice civile, è rappresentato dalla differenza tra il valore dell’immobile al momento della liquidazione ed il prezzo convenuto con l’accessorio degli interessi legali a decorrere dalla domanda di risoluzione.

Il risarcimento del danno dovuto al promissario acquirente per la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita di bene immobile, imputabile al promittente venditore, consiste nella differenza tra il valore commerciale del bene medesimo al momento della proposizione della domanda di risoluzione ed il prezzo pattuito.

Il risarcimento deve porre il creditore nella situazione in cui si sarebbe trovato se l’inadempimento non si fosse verificato; il proprietario, nell’ipotesi di inadempimento del contratto preliminare, non è tenuto a dare prova delle proprie intenzioni circa la volontà di locare o utilizzare il bene (Cassazione 6 febbraio 2014, n. 2771).

Se la parte venditrice è inadempiente, il promissario acquirente può recedere ed esigere il doppio della caparra.

Il recesso è una forma di risoluzione stragiudiziale che liquida forfettariamente il danno (Cassazione 31928/2023).

I rimedi del recesso con ritenzione della caparra e della risoluzione con risarcimento del danno integrale sono alternativi e non cumulabili (Cassazione 3849/2018), talché se la parte non inadempiente chiede la risoluzione e il risarcimento del danno secondo le regole ordinarie non può incamerare la caparra, ma solo trattenerla a garanzia del credito risarcitorio.

La richiesta del doppio della caparra cumulata con altre voci di danno (per esempio, provvigione del mediatore) viene qualificata come domanda di risoluzione ordinaria, con conseguente inapplicabilità della disciplina del recesso (Cassazione 32727/2023).

Rimedi contro i vizi

Le norme che disciplinano il contratto di compravendita comprendono una serie di rimedi a carattere speciale che si possono ricondurre a due distinte tipologie, a seconda della natura del vizio, anteriore o posteriore, rispetto al sorgere del vincolo contrattuale.

Si tratta di rimedi previsti a tutela della parte acquirente azionabili nelle ipotesi in cui la parte venditrice si renda inadempiente alle obbligazioni poste a suo carico.

Le garanzie specifiche a carico del venditore, il cui venir meno legittima il compratore all’iniziativa giudiziale, sono tre:

1. per evizione;

2. per vizi della cosa venduta;

3. per mancanza di qualità promessa.

In ossequio al principio dell’autonomia privata, i contraenti possono aumentare o diminuire gli effetti della garanzia oppure addirittura escluderla, fatta eccezione per l’evizione, se questa deriva da un fatto proprio del venditore.

In altri termini, a norma dell’articolo 1487 Codice civile, i contraenti possono aumentare o diminuire gli effetti della garanzia e pattuire anche che tra venditore e acquirente sia esclusa la garanzia per evizione, sollevando il venditore da tale obbligo.

Occorre però sottolineare che non è possibile escludere la garanzia per evizione derivante da fatto proprio del venditore, quella per dolo o colpa grave, così come non può mai essere esclusa la restituzione del prezzo, giacché esso non costituisce un risarcimento, bensì una reazione alla rottura del sinallagma.

Anche il patto di esclusione o limitazione della garanzia per vizi non ha effetto se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa.

Di contro, può anche essere previsto un aumento della garanzia con la previsione di una clausola penale a carico del venditore in base alla quale lo stesso sia obbligato a restituire oltre al prezzo un ulteriore importo, o ancora prevedersi l’aggiunta di strumenti di tutela del compratore, quale la sostituzione del bene consegnatogli.

La garanzia per evizione

La garanzia per evizione costituisce una delle obbligazioni principali del venditore, ai sensi dell’articolo 1476, n. 3, Codice civile.

Essa rappresenta un effetto naturale del contratto di compravendita, che opera anche in assenza di una specifica pattuizione. Il fondamento della garanzia risiede nell’esigenza di tutelare il compratore dalla perdita, totale o parziale, del diritto acquistato, a causa di diritti preesistenti vantati da terzi sul bene.

L’evizione si concretizza quando il compratore viene privato del godimento del bene per effetto di una pronuncia giudiziale che accerta il diritto del terzo (per esempio, azione di rivendicazione) o a seguito di un atto dell’autorità amministrativa (per esempio, ordine di demolizione). Letteralmente il termine evizione significa privazione del diritto fatta valere attraverso le vie legali. Con tale termine si fa riferimento all’azione esercitata dalla terza diretta allo scopo di far perdere totalmente o parzialmente i diritti acquistati dal compratore sul bene oggetto di compravendita. Trattasi di una garanzia di natura oggettiva, i cui effetti conseguono al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato, indipendentemente dalla colpa del venditore e dalla stessa conoscenza da parte del compratore della possibile causa della futura evizione (Tribunale Milano 8418/2023).

La responsabilità del venditore sorge per il solo fatto che il compratore subisca la privazione del diritto, in quanto altera il sinallagma contrattuale.

Anche in caso di valida pattuizione di esclusione della garanzia, il venditore è comunque tenuto alla restituzione del prezzo pagato e al rimborso delle spese, salvo che la vendita sia stata convenuta “a rischio e pericolo del compratore” (articolo 1488 Codice civile).

Una convenzione aleatoria, come la vendita “a rischio e pericolo”, non può essere desunta implicitamente dal fatto che il compratore fosse informato del rischio, ma deve risultare da una pattuizione espressa e inequivoca (Cassazione 41490/2021).

Funzione della garanzia per evizione è la tutela dell’acquirente nel caso non si verifichi l’effetto traslativo della proprietà in conseguenza di diritti che un terzo faccia valere sul bene oggetto della compravendita.

A carico del venditore incombe perciò il rischio che il compratore subisca l’evizione per effetto di diritti di proprietà che terzi vantino sul bene venduto o su parte di esso. L’elemento caratterizzante la garanzia per evizione, sia in relazione alla vendita volontaria che quella forzata, è dato dall’intervento rivendicativo o espropriativo da parte del terzo.

Non si ha dunque evizione - e quindi non sorge il diritto alla garanzia - per la sola affermazione dell’esistenza del diritto da parte del terzo, ma occorre che costui si attivi per recuperare il diritto nella propria sfera patrimoniale e che tale suo diritto sia accertato definitivamente.

È pacifico che la garanzia per evizione opera anche in ipotesi di espropriazione forzata ovvero di espropriazione per causa di pubblica utilità del bene, trattandosi di una particolare tutela che l’ordinamento attribuisce al compratore per il caso in cui sia disturbato o menomato nel godimento della cosa acquistata in conseguenza delle pretese fatte valere da terzi nei suoi confronti (Cassazione 20 dicembre 2013, n. 28580).

Le cause di evizione preesistono alla vendita, giacché è proprio l’anteriorità dell’evento rispetto al perfezionarsi della vendita che incide negativamente sul risultato traslativo. Nel caso in cui, invece, l’acquirente abbia ragione di temere che la cosa o una parte di essa possa essere rivendicata da terzi e che, per effetto di tale rivendica, possa perdere la proprietà del bene compravenduto, può, in via anticipata o cautelare, sospendere il pagamento del prezzo (articolo 1481 Codice civile).

In relazione al contratto preliminare, nulla vieta al promissario acquirente di rifiutarsi di concludere la vendita definitiva fino alla liberazione del bene dal vincolo oppure di richiedere la risoluzione del contratto.

I casi di evizione

I fatti rilevanti che danno luogo all’evizione possono così riassumersi:

- diritto del terzo sul bene oggetto della compravendita accertato con sentenza passata in giudicato;

- riconoscimento del diritto del terzo da parte dello stesso compratore, quando questi, convenuto in giudizio da parte del terzo che pretende di vantare diritti sulla cosa venduta, provi che non esistevano ragioni sufficienti per impedire l’evizione (articolo 1485 Cc);

- ordine di sequestro del bene oggetto del contratto da parte dell’Autorità di pubblica sicurezza;

- sentenza o provvedimento amministrativo di distruzione del bene a seguito della sua irregolarità privata;

- evizione giudiziale a seguito di azione di rivendicazione della proprietà esercitata con successo dal terzo, in contraddittorio anche con il venditore;

- trasferimento coattivo in sede di esecuzione forzata a favore dell’aggiudicatario o dell’assegnatario;

- espropriazione per esecuzione forzata o per pubblico interesse del bene oggetto del contratto.

Nell’ambito della garanzia per evizione si distinguono diverse ipotesi:

- l’evizione totale;

- l’evizione parziale;

- l’ipotesi in cui il bene sia gravato da oneri o da diritti di godimento di terzi.

L’evizione totale si verifica allorché il compratore sia rimasto soccombente nel giudizio instaurato contro di lui da un terzo che, pretendendo di essere il proprietario del bene, ottenga un provvedimento che obblighi il compratore a consegnargli il bene.

Perché si abbia evizione occorre che il diritto trasmesso al compratore venga definitivamente meno o risulti inefficacemente acquistato per incompatibilità col diritto certo del terzo. Il compratore che sia convenuto dal terzo rivendicante diritti sul bene oggetto della compravendita deve, a norma dell’articolo 1485 Codice civile, chiamare in causa il venditore: nel caso in cui non lo faccia e venga condannato con sentenza passata in giudicato, perde il diritto alla garanzia se il venditore prova che esistevano ragioni sufficienti perché la domanda del terzo fosse respinta.

Di fronte al pericolo effettivo dell’evizione, che si realizza quando il terzo non ha ancora agito in giudizio per far valere il suo diritto, ma vi è la concreta possibilità che ciò accada, il compratore può:

- concludere il contratto definitivo e sospendere il pagamento del prezzo, salvo che il venditore presti idonea garanzia ovvero se il pericolo era noto al compratore al momento della stipula del contratto (articolo 1481 Codice civile) - si tratta di un rimedio di carattere cautelare;

- rifiutarsi di concludere il contratto a norma dell’articolo 1460 Codice civile;

- chiedere al giudice la fissazione di un termine alla scadenza del quale, se il bene non è liberato, il contratto è risolto con obbligo del venditore di risarcire il danno;

- agire in giudizio chiedendo, in via principale, la fissazione del termine per la liberazione del vincolo e, in via subordinata, la risoluzione del contratto.

Può altresì accadere che l’evizione sia il risultato di un’azione che il terzo promuove nei confronti del venditore finalizzata a rivendicare diritti sul bene venduto.

Poiché nella compravendita immobiliare è prevista una apposita forma di pubblicità attraverso la trascrizione, al compratore sarà opponibile la sentenza ottenuta dal terzo, avente causa del venditore, solo se questi avrà provveduto a trascrivere tempestivamente la domanda: infatti, l’acquirente resta estraneo all’azione intentata dal terzo nei confronti del venditore, sicché perché l’esito di essa gli possa essere opponibile è necessario che sia posto nelle condizioni di conoscere l’esistenza di tale procedimento.

In altri termini, non è necessario che l’acquirente abbia diretta ed effettiva conoscenza dell’azione promossa dal terzo, ma che sia in grado di averne contezza e ciò si ottiene attraverso la trascrizione della domanda del terzo eseguita prima della trascrizione del titolo di acquisto.

L’elemento soggettivo

Al compratore evitto spetta la tutela anche nel caso in cui egli fosse consapevole dell’altruità della cosa acquistata che il venditore era tenuto a trasferirgli. La garanzia per evizione prescinde altresì dal dolo o dalla colpa del venditore, che assumono rilevanza solo in relazione alla possibilità di un diverso ristoro patrimoniale.

Il principio è pacifico in giurisprudenza ove si è affermato che la garanzia di cui all’articolo 1483 Codice civile opera indipendentemente dalla sussistenza della colpa del venditore.

Quindi, non è esclusa neppure dalla conoscenza, da parte del compratore, della possibile causa di futura evizione, giacché gli effetti di tale garanzia conseguono al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato, che, facendo venire meno la ragione giustificatrice della controprestazione, altera l’equilibrio del sinallagma funzionale, con la conseguente necessità di porvi rimedio con il ripristino della situazione economica dell’acquirente quale era prima dell’acquisto.

Nel caso in cui ricorra il dolo o la colpa del venditore in riferimento alla particolare causa che ha determinato l’evizione (come, ad esempio, nell’ipotesi di violazione della garanzia espressamente prestata circa l’inesistenza di diritti di prelazione spettanti a terzi), ciò influisce sul danno risarcibile in favore dell’acquirente, che comprenderebbe anche il lucro cessante.

L’evizione può essere anche solamente parziale: in tale caso l’acquirente ha diritto alla risoluzione del contratto qualora debba ritenersi che non avrebbe proceduto all’acquisto del bene senza la parte per la quale ha subito l’evizione, ovvero, in caso contrario, può ottenere la riduzione del prezzo, oltre al risarcimento dei danni tutti subiti, qualora ignorasse l’altruità parziale del bene oggetto della compravendita.

Nota bene

L’azione di risarcimento dei danni proposta dall’acquirente non si identifica né con le azioni di garanzia di cui all’articolo 1492 Codice civile, né con l’azione di esatto adempimento.

Infatti, mentre la garanzia per evizione opera anche in mancanza della colpa del venditore, onde eliminare, nel contratto, lo squilibrio tra le attribuzioni patrimoniali determinato dall’inadempimento del venditore, l’azione di risarcimento danni che presuppone di per sé la colpa di quest’ultimo, consistente nell’omissione della diligenza necessaria a scongiurare l’eventuale presenza di vizi nella cosa, può estendersi a tutti i danni subiti dall’acquirente, non solo quindi a quelli relativi alle spese necessarie per l’eliminazione dei vizi accertati, ma anche a quelli inerenti alla mancata o parziale utilizzazione della cosa o al lucro cessante per la mancata rivendita del bene.

Da ciò consegue, fra l’altro, che tale azione si rende ammissibile, in alternativa, ovvero cumulativamente, con le azioni di adempimento in via specifica del contratto, di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto medesimo.

Il compratore, evitto anche in via parziale, ha diritto al risarcimento del danno subito sia per la lesione dell’interesse negativo che per la lesione dell’interesse positivo.

Quanto al primo aspetto, il diritto del compratore al risarcimento del danno, nei limiti dell’interesse negativo, sorge in conseguenza del mero fatto della perdita del diritto acquistato, facendo venir meno la ragione giustificatrice della controprestazione ed alterando l’equilibrio del sinallagma funzionale, con la conseguente necessità che vi sia posto rimedio mediante ripristino della situazione economica dell’acquirente, senza che rilevi in tal caso l’eventuale buona fede del venditore.

Quanto al secondo profilo, invece, in caso di lucro cessante, l’acquirente, per ottenerne il risarcimento, deve provare non solo il danno subito, ma anche la colpa di parte venditrice.

Bene gravato da oneri o da diritti reali o personali non apparenti

Il compratore che non abbia avuto conoscenza dell’esistenza degli oneri o dei diritti dei terzi può domandare la risoluzione del contratto se dimostra che non avrebbe acquistato il bene se ne fosse stato a conoscenza, oppure una riduzione del prezzo, oltre al risarcimento dei danni.

Le ipotesi comprendono le situazioni in cui vi è il pericolo di evizione, in quanto l’immobile è gravato da garanzie reali o pesi e vincoli che ne diminuiscono il godimento, che ricorrono quando l’immobile è soggetto a pignoramento o ipoteca oppure è sottoposto a vincoli di inedificabilità o soggetto a vincolo di bonifica, idrogeologico, forestale, paesaggistico, militare. In questi casi l’acquirente può avvalersi di particolari rimedi, primo tra tutti quello di sospendere in via cautelare il pagamento del prezzo ancora dovuto, ai sensi dell’articolo 1482, comma 1, Codice civile, in attesa che il venditore, eliminando il vincolo, si ponga nella situazione di potere regolarmente adempiere. Il promissario acquirente ha la facoltà, non l’obbligo, ai sensi dell’articolo 1482, comma 1, Codice civile, di chiedere al giudice la fissazione di un termine per la liberazione dal vincolo da parte del promittente venditore.

Se, tuttavia, ha chiesto la risoluzione del preliminare, per effetto dell’articolo 1453, comma 2, Codice civile, il promittente venditore non può attivarsi per ottenere la cancellazione della garanzia (Cassazione 20961/2017). Ove, comunque, l’acquirente intenda dare esecuzione al contratto preliminare, può agire giudizialmente con l’azione ex articolo 2932 Codice civile, formulando istanza al Giudice affinché fissi un termine al venditore per l’eliminazione del gravame sull’immobile. In alternativa, può comunque chiedere che venga ridotto il prezzo in ragione della corrispondente diminuzione del valore del bene.

Da ultimo, ove non intenda dare adempimento al contratto (preliminare o definitivo che sia), ne può chiedere la risoluzione per inadempimento del venditore, oltre al risarcimento del danno secondo le norme generali dettate in materia.

Tuttavia, la risoluzione del contratto per inadempimento è subordinata all’inutile decorso del termine stabilito dal giudice per liberare la cosa dai vincoli.

Ne consegue che la domanda giudiziale di risoluzione, in deroga alla disposizione dell’articolo 1453, comma 3, Codice civile, non ha l’effetto immediato di precludere alla parte inadempiente la possibilità di adempiere la propria obbligazione, cioè di liberare la cosa dal vincolo, sicché, ove il promittente venditore liberi tempestivamente la cosa venduta dal vincolo, deve ritenersi consentito al compratore, in deroga al citato articolo 1453, di domandare l’adempimento del preliminare di vendita in luogo della risoluzione di esso (Cassazione 16388/2015).

Qualora però il compratore sia stato posto in grado di conoscere l’esistenza delle garanzie reali o dei predetti vincoli, gli è impedito di chiedere la risoluzione del contratto ed il venditore risponde verso di lui solo per il caso di evizione, solo cioè se l’acquirente abbia a perdere la proprietà dell’immobile.

Attenzione

L’esistenza di una trascrizione pregiudizievole, qual è un’ipoteca o una domanda giudiziale, condiziona di per sé la commerciabilità di un immobile e, di conseguenza, il suo prezzo di mercato, sicché è del tutto legittimo il rifiuto del promissario acquirente a procedere alla stipulazione del definitivo sino a quando il bene non sia liberato da tale iscrizione pregiudizievole.

Per contro è, invece, illegittimo il recesso del promittente venditore, proprio perché inadempiente all’obbligazione di trasferire l’immobile libero da trascrizioni pregiudizievoli.

Trattasi dunque di gravami che rientrano nell’area di responsabilità del venditore, il quale può escluderla solo dichiarandone l’esistenza nel contratto preliminare ed impegnandosi contestualmente a consegnare, in sede di stipula del contratto definitivo, l’atto notarile di assenso alla cancellazione del gravame in questione.

È opportuno in tal caso sottoporre il contratto di compravendita a condizione sospensiva in ordine all’accertamento dell’inesistenza di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli.

In tal modo, l’efficacia del contratto è subordinata all’accertamento, successivo alla stipula, dell’avvenuta trascrizione dell’atto nei registri immobiliari e della inesistenza di trascrizioni o iscrizioni pregiudizievoli anteriori alla trascrizione, ovvero alla liberazione dell’immobile venduto da ipoteche o altri vincoli reali.

La compravendita sospensivamente condizionata certo non trasferisce nell’immediato la proprietà, ma assicura all’acquirente circa la piena libertà del bene e presenta anche aspetti vantaggiosi dal punto di vista fiscale, giacché la tassazione è effettuata nel momento in cui il contratto produce l’effetto traslativo.

Nell’ipotesi in cui la parte venditrice dichiari che l’immobile è gravato da ipoteca può essere opportuno inserire nel contratto una condizione c.d. esecutiva.

Si tratta di una condizione diversa da quella sospensiva in quanto, mentre quest’ultima sospende l’efficacia del negozio e, quindi, non fa venire ad esistenza le situazioni giuridiche che da esso derivano, sino al verificarsi della condizione, quella c.d. esecutiva non impedisce che l’effetto giuridico del negozio si verifichi al momento del perfezionamento: ciò che rimane in sospeso è esclusivamente l’esecuzione del negozio stesso.

Il risarcimento del danno

Quando, invece, al momento della stipulazione del contratto definitivo l’acquirente non viene informato dell’esistenza di un’ipoteca gravante sul bene o di una formalità pregiudizievole (come un pignoramento), la probabilità di conseguenze pregiudizievoli si configura come danno futuro immediatamente indennizzabile senza che possa aver rilevanza la possibilità che, per qualche remota ragione, le conseguenze negative non si verifichino.

Sussiste responsabilità del venditore - e del notaio - che all’atto della vendita dichiari essere l’immobile libero da pregiudizi, nel caso in cui successivamente il compratore venga chiamato al pagamento della somma garantita dall’ipoteca che gravava sull’immobile e subisca la procedura di pignoramento immobiliare.

In tale situazione si configura un danno futuro immediatamente risarcibile di cui sono responsabili in solido il venditore e il notaio.

Perché sia affermata tale responsabilità e possa pronunciarsi condanna di risarcimento danni, non è necessario che l’acquirente abbia già pagato il creditore ipotecario o gli abbia rilasciato il bene, ovvero lo abbia liberato dall’ipoteca oppure abbia subito l’espropriazione.

La certezza che deve sussistere per rendere risarcibile il danno futuro non è la stessa che caratterizza il danno presente, con la conseguenza che esso non può mai essere determinato in termini di assoluta certezza al momento della decisione, ossia non può essere riferito esclusivamente al pregiudizio già completamente verificatosi al momento del giudizio, ma è sufficiente che vi sia una fondata attendibilità che tale danno appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocabilmente sintomatici di quella probabilità, secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto.

Si tratta di responsabilità di natura contrattuale, che l’acquirente in buona fede può far valere sia nei confronti del venditore - in quanto inadempiente al dovere di informazione in ordine all’assenza di pesi ed oneri relativi al bene venduto - e sia nei riguardi del notaio, per inadempimento contrattuale nello svolgimento del mandato d’opera professionale, per non aver svolto i dovuti accertamenti presso i pubblici registri.

Attenzione

Le circostanze ritenute idonee a configurare un danno futuro a carico dell’acquirente sono state la richiesta di pagamento da parte del creditore ipotecario del venditore e il pignoramento del bene acquistato.

Una diversa soluzione che si risolvesse in un diniego di tutela a favore dell’acquirente di buona fede esporrebbe lo stesso al rischio della perdita del bene acquistato: è, dunque, corretto risarcire il danno, nella misura pari alla somma corrispondente a quella per la quale era stata iscritta l’ipoteca, non rilevando la possibilità che non si sia ancora verificato il pregiudizio.

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