Controlli e liti

Conflitto di residenza, basta la convivenza a provare il domicilio fiscale

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di Roberto Bianchi

Un cittadino straniero che possiede una sola abitazione nel paese di provenienza, ma che risulta essere iscritto all’anagrafe di un Comune italiano e domiciliato in Italia nell’abitazione della convivente, viene considerato residente nel nostro paese in base alla convenzione sulle doppie imposizioni vigente tra l’Italia e la sua nazione di origine.
A tale conclusione è giunta la Cassazione con la sentenza 26638/2017 , depositata in cancelleria il 10 novembre 2017.

Un cittadino russo ha impugnato un atto di irrogazione di sanzioni relativo alla violazione di cui all’articolo 5 del Dl n. 167/1990 per non aver dichiarato, nel modulo Rw del modello Unico 2003, rilevanti investimenti esteri con riferimento al periodo di imposta 2002. La Ctp di Milano ha accolto il ricorso, con sentenza confermata anche dalla Ctr della Lombardia, sul rilievo che l’articolo 4 della convenzione tra Italia e Federazione russa prevede, quale primo tra i criteri risolutivi finalizzati a risolvere il conflitto di residenza, quello secondo il quale, qualora una persona fisica risulta essere residente in entrambi gli Stati contraenti, la stessa viene considerata domiciliata nel paese nel quale dispone di un’abitazione permanente. Pertanto il contribuente, avendo dimostrato di essere proprietario in Russia di una casa di civile abitazione, di essere stato presente sul territorio russo per 183 giorni nel corso dell’anno 2002 e di non possedere in Italia una casa di abitazione ad alcun titolo, doveva essere considerato, a parere dei giudici di merito, convenzionalmente residente nella Federazione russa.

Avverso la sentenza della Ctr l’agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione mentre il contribuente, mediante controricorso, si è costituito in giudizio.
La ricorrente ha dedotto la violazione della legge, ai sensi del comma 1 n. 3 dell’articolo 360 Cpc, in relazione al comma 2 lettera a) dell’articolo 4 della convenzione Italia-Russia avverso le doppie imposizioni, affermando che la Ctr ha erroneamente ritenuto che l’abitazione permanente vada identificata facendo riferimento alla proprietà o ad altro titolo giuridico in forza del quale il soggetto detiene o possiede l’abitazione. Ciò in quanto la disposizione convenzionale, nel fare riferimento alla natura permanente o meno dell’abitazione, contempla un estremo di fatto e non di diritto in quanto deve considerarsi permanente l’abitazione in cui un soggetto sia di fatto in grado di risiedere stabilmente, a prescindere dall’esistenza e dalla qualità del titolo giuridico da cui tale situazione è determinata. Nel caso di specie il contribuente risiedeva a Milano nell’abitazione di proprietà di una signora con la quale aveva una stabile relazione affettiva, come dallo stesso dichiarato nelle risposte ai questionari dell’ufficio e alla quale versava regolarmente rilevanti somme di denaro per il suo mantenimento. Inoltre il contribuente aveva dichiarato al Comune di Milano la propria residenza presso l’abitazione della signora medesima.

Per l’ufficio, pertanto, la corretta applicazione della lettera a) dell’articolo 4 della convenzione, avrebbe dovuto condurre la Ctr a concludere che il contribuente disponeva di un’abitazione permanente sia nella Federazione russa e sia in Italia e, di conseguenza, avrebbe dovuto trovare applicazione non la prima parte del comma 2 lettera a) dell’articolo 4 della convenzione ma bensì la seconda parte per la quale, quando una persona dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli stati contraenti, la stessa deve essere considerata residente nel paese nel quale le sue relazioni personali ed economiche risultano essere più strette. Nel caso in questione il contribuente aveva svolto in Italia attività lavorativa continuativa di consulenza commerciale per la maggior parte del periodo di imposta, come risultava dalle fatture emesse, aveva presentato dall’anno d’imposta 2002 dichiarazioni dei redditi, deteneva una partecipazione significativa nel capitale sociale di una srl di diritto italiano e aveva finanziato l’acquisto dell’azienda nonché le spese di ristrutturazione dell’esercizio commerciale gestito dalla medesima società, mediante un investimento significativo. Si doveva ritenere, pertanto, che il contribuente avesse in Italia più strette relazioni personali ed economiche rispetto alla Russia.

A parere del collegio di legittimità, il ricorso dell’ufficio risultava meritevole di accoglimento in forza di quanto stabilito dal comma 2 dell’articolo 4 della convenzione Italia-Russia avverso le doppie imposizioni. La questione che si pone è se per abitazione permanente debba intendersi un fabbricato in proprietà o in uso in base ad altro titolo giuridico oppure un fabbricato di cui il contribuente possa comunque disporre.

Al fine di pervenire alla corretta interpretazione della norma di cui al comma 2, lettera a) dell’articolo 4 della convenzione Italia-Russia, occorre analizzare il testo elaborato in sede Ocse, sulla base del quale sono stati generati i testi dei trattati internazionali avverso le doppie imposizioni sui redditi e/o sul patrimonio dei rispettivi residenti.
Il modello prevede che la persona fisica è considerata residente nello Stato se nello stesso ha a disposizione un’abitazione permanente da intendersi come una situazione di fatto, considerato che all’espressione «una casa permanente a sua disposizione» non può essere attribuito altro significato se non quello di un alloggio del quale il contribuente può disporre stabilmente a qualsivoglia titolo, non potendo la caratteristica della permanenza identificarsi nella proprietà della stessa ma nella circostanza che il soggetto ne possa disporre a proprio piacimento per periodi temporali indeterminati.

La Suprema Corte ha ritenuto pertanto che l’espressione utilizzata dagli stati contraenti, laddove viene menzionata l’abitazione permanente quale criterio per individuare lo stato ove il contribuente ha la residenza, vada interpretata al lume del tenore letterale del modello Ocse di riferimento a cui si sono ispirati le parti contraenti e, dunque, avuto riguardo alla situazione di fatto che determina la stabile disponibilità di una abitazione in capo al contribuente.

Nel caso in esame non viene contestata la circostanza che il contribuente risiedeva presso l’abitazione di proprietà della convivente e pertanto, tenuto conto del rilievo che assumeva già nel 2002 la convivenza di fatto, ora riconosciuta e disciplinata dalla legge 20 maggio 2016, n. 76, si deve ritenere che il contribuente disponesse di un’abitazione permanente in Italia. Ne consegue che la Ctr, al fine di accertare se il contribuente dovesse essere assoggettato a imposta nello stato italiano, avrebbe dovuto applicare il secondo criterio previsto dalla lettera a) dell’articolo 4 della convenzione citata, secondo il quale, quando la persona dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli stati contraenti, è considerata residente nello paese nel quale le sue relazioni personali ed economiche risultano essere più radicate. La sentenza in commento, in merito alla residenza fiscale in Italia, inverte pertanto il precedente orientamento della Corte Suprema secondo il quale, il dato anagrafico risultava essere preclusivo di ogni altro accertamento di fatto (Cassazione, sentenze n. 21970/2015, 677/2015 e 9319/2006).

Cassazione, sentenza 26638/2017

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