Conti bancari dei familiari utilizzabili nell’accertamento
Nell’ambito delle imposte sui redditi, il rapporto familiare di prossimità e la ridotta consistenza della compagine sociale sono in grado di legittimare l’ascrivibilità delle operazioni rilevate sui conti bancari di tali soggetti all’attività economica della società sottoposta a verifica e, di conseguenza, in mancanza di una dimostrazione dello svolgimento di tali attività, da parte degli intestatari dei conti, in grado di legittimare i movimenti rilevati, deve ritenersi soddisfatta la presunzione a sostegno della pretesa tributaria, con trasferimento dell’onere della prova in capo al contribuente. A tale conclusione è giunta la Cassazione attraverso l’ordinanza n. 22093/2018.
La controversia afferisce all’impugnazione di un avviso di accertamento emesso a carico di un professionista, sulla scorta delle risultanze di una verifica dalla quale sono emersi maggiori ricavi conseguiti in forza delle movimentazioni riscontrate sul conto corrente cointestato con il coniuge e su quello intestato ai genitori, su cui disponeva di delega a operare.
La Ctr ha rigettato l’appello dell’ufficio e, avverso a tale statuizione, l’agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione deducendo la violazione e la falsa applicazione dell’art. 32 del Dpr n. 600/1973, degli artt. 2697, 2728 e 2729 c.c. e del co. 1 dell’articolo 115 cpc, sostenendo che la Ctr ha errato nell’escludere la ripresa a tassazione delle somme movimentate sul conto intestato ai genitori del medesimo, le quali erano allo stesso riconducibili anche valutando l’entità dei redditi conseguiti dai congiunti rispetto agli importi movimentati.
Per il Collegio di legittimità il ricorso è fondato in quanto consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. n. 14556/2018) ha affermato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’articolo 32 del Dpr n. 600/1973, è necessario fornire la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero della loro estraneità (Cass. n. 4829/2015) e tale principio trova applicazione - in presenza di alcuni elementi sintomatici quali la ristretta compagine sociale e il rapporto di stretta contiguità familiare tra l’amministratore o i soci e i congiunti intestatari dei conti bancari sottoposti a verifica - anche alle movimentazioni effettuate su questi ultimi, essendo particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti dei soci e dei loro familiari, debbano ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica (Cass. n. 27075/2017).
Le disposizioni menzionate operano su conti non intestati al contribuente che risultano nella sua disponibilità; tuttavia ciò deve necessariamente essere dimostrato. Solitamente la prova viene fornita attraverso le relazioni tra il contribuente e l’intestatario fittizio, valutando i rapporti di parentela ma la difficoltà sta nel comprendere se la sussistenza di tali relazioni possa essere considerato elemento sufficiente a estendere l’indagine a soggetti terzi e per riferire le operazioni direttamente al contribuente o se tale estensione possa essere effettuata esclusivamente provando che la titolarità delle operazioni, nonostante l’intestazione a terzi, risulta del contribuente nei confronti del quale è stato promosso l’accertamento.
In alcune pronunce (Cass. n. 19213/2007) i giudici hanno affermato che l’ufficio è tenuto a provare, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o comunque la sostanziale riferibilità al contribuente dei conti intestati esclusivamente a terzi e pertanto pare richiesta, al fine di legittimare l’estensione delle indagini bancarie ai familiari del contribuente, la prova della sostanziale imputabilità al soggetto passivo delle posizioni creditorie e debitorie annotate sui conti.
La questione dei presupposti per estendere le indagini anche ai rapporti finanziari intrattenuti da terzi non appare pertanto univoca e la soluzione più coerente sembra essere quella per cui risulta onere dell’Ufficio dimostrare che i conti intestati esclusivamente a terzi siano utilizzati nell’ambito dell’attività del contribuente oggetto di accertamento in quanto il medesimo onere probatorio vige per l’interposizione fittizia, disciplinata dal co. 3 dell’art. 37 del Dpr 600/1973, a cui tale fattispecie risulta essere riconducibile.