Coronavirus, dalla clausola di buona fede la soluzione al rebus della crisi di liquidità
Non c’è solo il concetto di forza maggiore: il nostro sistema consente di utilizzare anche altre soluzioni
A seguito dello scoppio dell’emergenza dovuta al Covid-19, si è determinata una situazione di diffusa crisi che ha portato ad una carenza di liquidità in capo a molti imprenditori. Il tema dell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie e degli eventuali rimedi in favore dei debitori per far fronte alla situazione eccezionale che viviamo, impone una riflessione sugli strumenti che, in concreto, il nostro sistema giuridico offre alle parti di un rapporto obbligatorio.
Il Codice civile
Sul punto, l’impianto del Codice civile è rigido: in via generale, ai sensi dell’articolo 1218 Cc, il debitore risponde sempre dell’adempimento salvo il caso dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa allo stesso non imputabile; la regola, applicata all’ obbligazione pecuniaria, si traduce nella responsabilità del debitore in caso di inadempimento, posto che la carenza di denaro costituisce un’evenienza che non può gravare sul creditore.
Il debitore, si sostiene, è sempre in grado di procurarsi altrove il denaro, seppure a costi più elevati; il principio è costantemente affermato dalla giurisprudenza, per la quale l’impotenza economica o finanziaria del debitore non costituisce causa di esonero da responsabilità per l’inadempimento.
Il Cura Italia
Il legislatore, consapevole dell’austerità del sistema così delineato, ha recentemente tentato di aggirare un simile ostacolo con l’articolo 91, comma 1, del decreto Cura Italia, che ha aggiunto all’articolo 3 del Dl 23 febbraio 2020, n. 6 il comma 6-bis, in base al quale «il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 Cc, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti».
Si tratta di una norma pleonastica perché l’ordinamento contiene già al suo interno un criterio direttivo (che andrebbe maggiormente valorizzato in questi tempi) a cui ricorrere quando sia necessario reagire alla sopravvenienza di eventi, successivi al perfezionamento dell’accordo, che siano tali da minare l’originario equilibrio pattuito.
La clausola di buona fede
La clausola generale di buona fede di cui agli aticoli 1175 e 1375 Cc consente infatti di (i) superare le rigidità proprie delle obbligazioni pecuniarie; (ii) valorizzare elementi soggettivi relativi alla condizione del debitore e (iii) realizzare un bilanciamento tra interessi confliggenti (nei limiti dell’apprezzabile sacrificio), nel pieno rispetto del contenuto del regolamento negoziale, così come originariamente previsto dalle parti contraenti.
Una più consapevole applicazione della clausola generale di buona fede consentirebbe di evitare il richiamo, non sempre coerente, alla nozione di forza maggiore o alla fattispecie della sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione. Il principio di buona fede, presenta infatti rispetto a tali ipotesi significativi vantaggi, tra i quali una funzione conservativa e non demolitoria del rapporto negoziale e una minore discrezionalità valutativa al giudice.
Prestazione inesigibile
Inoltre, muovendo dalla buona fede, la giurisprudenza ha potuto compiere un passo ulteriore e affermare che, in determinati casi, quando il debitore si ritrovi in circostanze che gli richiedano costi economici manifestamente sproporzionati e il creditore insista per l’adempimento della prestazione, quest’ultima possa essere dichiarata inesigibile (sebbene oggettivamente possibile ed eseguibile).
In questo modo le esigenze di entrambe le parti possono trovare una soddisfacente composizione, con conservazione del contratto anziché la sua demolizione. Ciò accade già nei rapporti di lavoro subordinato (quando la prestazione del lavoratore potrebbe essere eseguita solo con mezzi eccezionali) e, con specifico riferimento alle obbligazioni pecuniarie, per i contratti di mutuo, in relazione alle ipotesi di “usurarietà sopravvenuta”: gli interessi sarebbero dovuti ma nella misura tale da non superare il tasso-soglia; la parte esorbitante sarebbe “inesigibile”, in quanto contraria a buona fede.
Una simile prospettiva, fondata sull’adeguata valorizzazione della clausola generale di buona fede prevista dal codice civile, si ritiene possa offrire spunti e risposte adeguate alla rigidità che contorna l’adempimento delle obbligazioni pecuniarie in situazioni di crisi, senza ricorrere a norme speciali o interpretazioni incoerenti con il sistema giuridico e tutelando adeguatamente entrambe le parti del rapporto giuridico.
Dac 6 e operazioni societarie: la consulenza è tutelata dal segreto professionale
di Giorgio Emanuele Degani