Imposte

Costi black list, così si prova che il fornitore opera davvero

di Stefano Mazzocchi

Sì alla deducibilità dei costi relativi alle operazioni nei Paesi black list se l’impresa italiana prova che il fornitore estero svolge un’effettiva attività e che le operazioni hanno una convenienza economica. Lo ha deciso la Ctr Umbria con la sentenza 159/3/2017 (presidente Renzo, relatore Orzella), che ha chiarito la portata delle disposizioni dell’articolo 110 del Tuir in vigore fino al 31 dicembre 2015, quindi precedentemente alle modifiche della legge di Stabilità 2016 (legge 208/2015).

In particolare, secondo la “vecchia” versione della norma, i limiti alla deducibilità dei costi relativi alle operazioni con operatori di Paesi black list potevano essere derogati se l’impresa residente avesse provato che le operazioni: 1) avessero avuto concreta esecuzione; 2) rispondessero a un «effettivo interesse economico». Disposizione ora superata i costi black list sono equiparati a quelli inerenti alle transazioni domestiche (circolare 39/E del 26 settembre 2016 dell’agenzia delle Entrate, paragrafi 4.1 e 4.2).

La Ctr Umbria, respingendo il ricorso in appello presentato dall’ufficio, ha avallato le tesi del contribuente, che, in applicazione della norma in vigore fino al 2015, aveva fornito una serie di elementi idonei a vincere la presunzione operata dall’ufficio.

Innanzitutto, il contribuente aveva «adeguatamente» provato, già in fase precontenziosa, la natura commerciale dell’attività imprenditoriale del fornitore nel Paese black list. Al riguardo, la Ctr ha richiamato le indicazioni fornite dalla direzione regionale delle Entrate del Piemonte nel 2002, secondo cui la prova che le imprese estere svolgano prevalentemente un’attività commerciale è dimostrabile da documentazione quale «statuto, iscrizione al registro imprese locale, bilanci pubblicati, numero dipendenti». Per i giudici in questa verifica non necessariamente assumono rilievo altre informazioni come contatti telefonici, email di utenze situate nel Paese del fornitore o esistenza del conto corrente: sono tutti elementi riconducibili a una «scelta gestionale autonoma e insindacabile» dell’imprenditore.

Per la Ctr, inoltre, non rileva la circostanza che la documentazione fornita sia esaustiva: ciò che rileva è piuttosto la sua adeguatezza, «una volta che si sia appurato che il contribuente abbia fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità per dare la prova dell’attività svolta dal fornitore di Paese black list». Del resto, l’articolo 10, comma 1, dello Statuto del contribuente (legge 212/2000) consacra i principi della collaborazione e della buona fede quali canoni imprescindibili del rapporto tra Fisco e contribuente. Pertanto – ha puntualizzato la Ctr - va respinta la tesi dell’ufficio circa la necessità di avere una approfondita indagine su «tutta l’attività svolta dal fornitore»: si tratta di una prova «quasi impossibile da fornire da parte di un soggetto terzo al rapporto tributario».

In merito al requisito dell’«effettivo interesse economico», infine, la sentenza ha confermato la necessità che il contribuente provi adeguatamente le «ragioni di convenienza economica» che l’hanno indotto a effettuare l’operazione con la società black list.

Ctr Umbria, sentenza 159/3/2017

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