Imposte

Costi di sponsorizzazione: così la deduzione è in salvo

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di Giorgio Gavelli e Renato Sebastianelli

Le spese di sponsorizzazione – soprattutto a favore di associazioni e società sportive – sono spesso oggetto di contestazione in sede di verifica fiscale.

I rilievi si manifestano in varie forme: dall’inesistenza delle operazioni contrattualizzate alla corretta qualificazione del costo, dalla non inerenza alla non congruità e antieconomicità della spesa sostenuta. Per salvare quello che in molti casi rappresenta un importante fattore di alleggerimento del tax rate, è importante tenere conto dei principali sviluppi giurisprudenziali.

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Le associazioni sportive

Di recente si assiste al consolidarsi di un orientamento della Corte di cassazione (pronunce 21333, 14235 e 8981 del 2017, tra le altre) secondo cui si ritengono inerenti e congrue, per presunzione assoluta, le spese di sponsorizzazioni sostenute verso le associazioni sportive dilettantistiche (Asd) e le società sportive dilettantistiche (Ssd) fino all’importo annuo di 200mila euro in virtù di quanto contenuto nell’articolo 90, comma 8, della legge 289/2002, che le qualifica espressamente come costi di pubblicità.

Questo principio è stato fino a questo momento spesso disatteso dall’amministrazione finanziaria, la quale è solita disconoscere la deducibilità, sulla base della presunta mancanza dei requisiti di inerenza (tra l’attività dello sponsor ed il pubblico delle manifestazioni sponsorizzate) ed economicità della spesa (rispetto al fatturato dello sponsor e/o al valore delle sponsorizzazioni di enti sportivi simili a quello accertato).

Pur riconoscendo la natura di “presunzione assoluta” introdotta dalla previsione normativa (circolare 21/E/2003), la prassi dell’Agenzia ha richiesto che le spese presentassero in ogni caso «i requisiti della competenza, della certezza, quanto all’esistenza del costo, e dell’oggettiva determinabilità dello stesso, quanto al relativo ammontare, nonché dell’inerenza della spesa ad attività o beni da cui derivino ricavi o altri proventi imponibili» (risoluzione 57/E/2010).

Ora, a seguito del recente orientamento della Cassazione, non è più a carico del contribuente l’onere di provare l’inerenza e la congruità del costo. È sufficiente, infatti, che le associazioni e società sportive dilettantistiche siano effettive ed iscritte al Coni, che i corrispettivi erogati siano destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto sponsor e, infine, che a fronte dell’erogazione di queste somme venga riscontrata una specifica attività in tal senso da parte dell’associazione beneficiaria. Del resto, se le dimostrazioni richieste all’impresa relativamente a queste spese in nulla differissero rispetto a quelle di “ordinaria” sponsorizzazione, la norma citata non avrebbe alcun effetto e verrebbe posta nel nulla.

È probabile che, al di là del testo letterale, questa disposizione agevolativa non potrà essere applicata anche alle nuove società sportive dilettantistiche lucrative, introdotte dalla legge di Bilancio 2018 (si veda Il Sole 24 Ore del 4 dicembre).

La qualificazione

Molte sentenze di Cassazione qualificano le spese non rientranti nell’articolo 90 tra quelle di rappresentanza, disconoscendo la natura di spese pubblicitarie. Questa “riqualificazione”, per le spese sostenute prima del 2008, determinava una parziale deducibilità, per di più spalmata in cinque anni.

Dal 2008 in poi il problema della qualificazione è meno sentito perché il testo attuale dell’articolo 108 del Tuir assoggetta le spese di rappresentanza ai requisiti di inerenza stabiliti dal Dm 19 novembre 2008 e alla “capienza” dei ricavi e proventi della gestione caratteristica in base a percentuali predeterminate.

Ad ogni modo, la distinzione della Suprema corte tra pubblicizzazione di specifici prodotti, marchi o servizi, da un lato, e iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa dall’altro, appare oggi superata, atteso che le sponsorizzazioni – in quanto prestazioni a carattere corrispettivo – difettano del requisito della gratuità, indispensabile per qualificare le spese di rappresentanza.

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