Adempimenti

Criptovalute e token, indicazione nel quadro RW al bivio della chiave privata

Le Entrate chiedono la compilazione anche se non c’è un «gestore» all’estero. Ma non considerano il possesso delle password

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di Dario Deotto

Un altro problema che si pone per le criptovalute e i token è quello dell’indicazione nel quadro RW della dichiarazione dei redditi.
Obbligo, eventuale, che riguarda le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate (ai sensi dell’articolo 5 del Tuir). Dal 2019 (periodo d’imposta 2018) le istruzioni alla compilazione del quadro RW prevedono l’obbligo di indicazione anche delle valute virtuali, senza la necessità di riportare lo Stato estero di detenzione. In termini analoghi si è espresso il Tar del Lazio, con la sentenza 1077/2020. Le Entrate hanno affermato, altresì, che non è dovuta l’Ivafe.

La questione che si pone tuttavia è se le valute virtuali possono davvero essere considerate «attività estere di natura finanziaria» - soggette all’obbligo di compilazione del quadro RW, in base all’articolo 4 del Dl 167/1990 - non rientrando certamente nel concetto di «investimenti all’estero». In particolare, il dubbio ruota attorno al concetto di «attività estere». Il fatto è che le criptovalute e i token non hanno oggettivamente alcun legame con un territorio, che si tratti di quello nazionale o di quello estero.

Si può dire, in termini semplicistici, ma comunque effettivi, che le criptovalute stanno nella “rete” (di fatto, nella blockchain), per la quale non esiste né un concetto di “estero” né di territorio nazionale. Così che la loro dimensione a-territoriale non può essere assimilata, nella gran parte dei casi, a quella delle attività estere di natura finanziaria. Di conseguenza, risulta in contrasto con la norma primaria di riferimento (articolo 4 del Dl 167/1990) il provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate con il quale vengono approvati i modelli dichiarativi che dispongono l’obbligo di indicazione delle criptovalute nel quadro RW (da ultimo il provvedimento 28928/2021 del 29 gennaio scorso per i modelli 2021).

Questo a meno che non si svolga un ulteriore ragionamento. Nessun dubbio che l’obbligo del monitoraggio fiscale non si realizza se la persona fisica residente in Italia ha la disponibilità della chiave privata, posto che in questo caso il luogo di detenzione delle valute virtuali non può che risultare coincidente con lo Stato ove il contribuente risulta residente ai fini tributari. In tal caso, infatti, non si può parlare in alcun modo di attività detenute all’estero.

Occorre tuttavia considerare che le chiavi private possono anche essere gestite da terzi. In quest’ultimo caso assume rilevanza la disciplina antiriciclaggio del Dlgs 231/2007, la quale ha individuato la figura dei «prestatori di servizi di portafogli digitali», cioè di quei soggetti che forniscono «servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali», disciplinando così un rapporto in virtù del quale il prestatore di servizi detiene le chiavi private e svolge un servizio “per conto” dello stesso utente. L’obbligo di compilazione del quadro RW si avrà dunque soltanto in questo caso, quando il prestatore di servizi dei portafogli digitali risulta un soggetto con sede o domicilio all’estero.

Questa soluzione si coniuga anche con l’aspetto sanzionatorio. Le penalità relative al monitoraggio fiscale vengono infatti diversificate a secondo del luogo in cui le attività non dichiarate risultano detenute: l’articolo 5 del Dl 167/1990 prevede che la sanzione vada dal 3 al 15 per cento dell’ammontare degli importi non dichiarati. Se però le attività risultano detenute nei Paesi black list, le sanzioni risultano raddoppiate. Il fatto che le penalità risultino ancorate ad un “luogo” non può che rilevare - evidentemente - soltanto per le valute virtuali che sono detenute attraverso i prestatori di servizi di portafogli digitali, se questi si trovano all’estero. Non certo quando la persona fisica residente in Italia detiene direttamente la chiave privata: in tal caso – lo si ripete – non si può parlare di attività detenute all’estero.

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