Dividendi, l’aumento Irpef complica gli utili in bilancio
L’incremento della quota imponibile Irpef dei dividendi percepiti dai soci qualificati – regolato dal decreto del ministero dell’Economia del 26 maggio scorso e pubblicato nella Gazzetta ufficiale 160 dell’11 luglio, con effetto dagli utili realizzati a partire da quest’anno (più precisamente dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016) – costringe le società di capitali a monitorare con ancora maggiore attenzione le componenti del patrimonio netto. Salgono, infatti, a tre le categorie di riserve di utili disponibili che possono essere presenti in bilancio, con un differente effetto fiscale su alcuni soci e con la necessità di rispettare i vari meccanismi di priorità previsti dal legislatore fiscale. Per gli stessi soci, in caso di cessione plusvalente successiva al 31 dicembre di quest’anno, sale di quasi 10 punti percentuali il prelievo sui capital gain.
Vediamo le novità nel dettaglio.
L’adeguamento delle percentuali di imponibilità per alcune tipologie di dividendi, proventi equiparati e plusvalenze era atteso sin da quando l’articolo 1, comma 61, della legge di Stabilità 2016 (208/2015) aveva ridotto l’aliquota Ires dal 27,5% al 24 per cento. Come già accaduto in passato, infatti, il legislatore aveva previsto che fossero proporzionalmente rideterminate le percentuali di imponibilità per i redditi realizzati dai soci, in modo che, almeno a livello tendenziale, l’imponibilità complessiva tra socio e società si mantenesse invariata. Applicando le stesse regole del decreto del 2 aprile 2008 (che aveva “gestito” l’analoga situazione della discesa del tax rate Ires dal 33 al 27,5%), era possibile individuare quali sarebbero state le nuove percentuali (anticipate correttamente sul Sole 24 Ore del 17 gennaio scorso): esercizio peraltro assai utile per i calcoli di convenienza in tema di affrancamento del valore delle partecipazioni non quotate da esercitare entro il 30 giugno scorso (si veda Il Sole 24 Ore del 13 giugno).
Ma non tutti i contribuenti (residenti) soci di società sono interessati dalle modifiche, che riguardano la quota imponibile:
• dei dividendi percepiti dai soci Irpef qualificati e dalle imprese non Ires, che sale dal 49,72% al 58,14% (articoli 47 e 59 Tuir, Dpr 917/1986);
• dei dividendi percepiti dagli enti non commerciali (sia nella sfera commerciale che in quella istituzionale), che sale dal 77,74% al 100% (articolo 4, comma 1, lettera q, decreto legislativo 344/2003);
• delle plusvalenze realizzate in regime d’impresa per effetto della cessione (ovvero permuta, conferimento, eccetera) di quote/azioni dotate dei requisiti “Pex” (articolo 58, comma 2, Tuir) – con espressa esclusione delle società di persone e assimilate – ovvero da parte di soci (in particolare, persone fisiche qualificate) per cui il capital gain costituisce un “reddito diverso” (articolo 68, comma 3, Tuir). Anche in questo caso la quota imponibile sale dal 49,72% al 58,14%, nel reddito d’impresa come effetto della discesa della quota esente dal 50,28% al 41,86 per cento. Parallelamente, nel caso in cui la cessione origini una minusvalenza, la quota deducibile sale al 58,14 per cento.
Non sono state, pertanto, modificate le seguenti regole:
• l’imposizione “secca alla fonte” dei dividendi dei soci non qualificati (che resta al 26%);
• la quota imponibile dei dividendi percepiti dai soggetti Ires (che si mantiene al 5%);
• l’esenzione “Pex” delle plusvalenze realizzate dai soggetti Ires in presenza dei requisiti indicati dall’articolo 87 del Tuir, stabile al 95% (con indeducibilità integrale delle relative minusvalenze).
I dividendi erogati a società residenti in uno Stato Ue o dello Spazio economico europeo (See) in presenza delle condizioni previste dall’articolo 27, comma 3-ter, del Dpr 600/73 scontano una ritenuta a titolo d’imposta dell’1,20% (pari al 5% del 24%), per effetto dell’articolo 1, comma 62, della legge 208/2015.
Per quanto attiene alla decorrenza, le nuove regole si applicano:
• con riferimento ai dividendi, a partire dagli utili prodotti dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016, il che significa che non si considera il momento della distribuzione ma quello di formazione dell’utile;
• con riferimento alle plusvalenze (e minusvalenze), a decorrere dagli atti di realizzo posti in essere a decorrere dal 1° gennaio 2018, con la conseguenza che i capital gain provenienti da cessioni stipulate entro la fine del 2017 continueranno a essere assoggettate alla precedente imposizione, anche se il corrispettivo dovesse essere materialmente percepito successivamente. In questa ipotesi, infatti, si assume che il maggior valore derivi da utili formati prima del periodo d’imposta 2017.