Dovere tributario e sistema dei diritti
«Il concetto di capacità contributiva non necessariamente deve rimanere legato solo a indici tradizionali come il patrimonio e il reddito, potendo rilevare anche altre e più evolute forme di capacità, che ben possono denotare una forza o una potenzialità economica»: così la Corte costituzionale con la sentenza 288/2019 (relatore Luca Antonini; si veda il Sole 24 Ore del 24 dicembre 2019). Con la sentenza depositata lo scorso 23 dicembre, la Corte richiama e attualizza i principi costituzionali, ambientati, in chiave di applicazione dinamica, nel complesso contesto contemporaneo.
La notizia di cronaca riguarda la dichiarazione di non fondatezza delle censure all’articolo 2, comma 2, del Dl 133/2013 che ha abolito la seconda rata dell’Imu e introdotto, per il 2013, l’addizionale Ires solo a carico di imprese finanziarie, creditizie e assicurative. Il nuovo tributo si inseriva in un contesto di interventi che, per lo stesso 2013, avevano prodotto nel sistema tributario effetti compensativi per gli stessi soggetti passivi. Da un lato, il legislatore aveva desunto, solo per il 2013, dall’appartenenza al mercato finanziario uno specifico e autonomo indice di capacità contributiva. Contemporaneamente era intervenuto sul regime delle svalutazioni e delle perdite deducibili, introducendo un’attenuazione dell’imposizione ordinaria Ires e Irap, puntuale esigenza dei settori finanziario, creditizio e assicurativo. La sentenza 288/2019 esclude l’arbitrarietà di questo prelievo fiscale, straordinario e temporaneo, con un’articolata motivazione percorsa da forti accenti di politica del diritto.
La vis expansiva della pronuncia si attesta su un piano più elevato che invita gli stessi giudici a considerare la non irragionevolezza dell’imposizione in chiave sistematica e dinamica. Nel contempo, il legislatore è incisivamente riportato ai principi costituzionali e, quindi, al rispetto delle posizioni soggettive perfette che non devono subire arbitrarie compressioni.
In questa relativizzazione del principio di capacità contributiva si svolge l’interessante riflessione della Corte costituzionale, orientativa, prima ancora che interpretativa, giustificando una sovraimposta servita a dare copertura finanziaria a un’operazione redistributiva per alleggerire, in un periodo di difficile e critica congiuntura economica, il carico fiscale derivante dal pagamento della seconda rata Imu.
Il dovere tributario è un dovere inderogabile di solidarietà di cui all’articolo 2 della Costituzione, preordinato al finanziamento del sistema dei diritti costituzionali, i quali richiedono ingenti quantità di risorse per divenire effettivi, sia quelli sociali, sia gran parte di quelli civili.
L’imposizione ha indubbia funzione redistributiva e, in tal senso, l’inderogabilità del dovere di solidarietà è funzionalizzata alla realizzazione dell’articolo 3, secondo comma, della Costituzione.
L’ampio respiro sistematico della pronuncia può servire al nostro legislatore per resistere con più convinzione alle lusinghe della propaganda. Come ammonisce la Corte, disattendere il dovere tributario produce uno scardinamento del sistema dei diritti.
A non minore scardinamento, tuttavia, conduce l’irragionevole compressione dei diritti soggettivi perfetti del contribuente. È il caso, tra l’altro, della previsione dell’articolo 3 del decreto fiscale (Dl 124/2019) che consente la compensazione dei crediti maturati dal periodo in corso al 2019, superiori a 5mila euro, solo a partire dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o dell’istanza da cui emerge il credito. La norma è retroattiva, applicandosi al 2019 (si veda anche il servizio a pagina 3). La sua ratio è nuova propaganda: il cosiddetto «contrasto alle indebite compensazioni» finisce, con una misura etica, col considerare tutte le compensazioni indebite. Ma questo carattere indebito è, contraddittoriamente, “a tempo”.
In concreto, siamo di fronte ad una palese violazione del divieto del cosiddetto solve et repete, già dichiarato incostituzionale dalla Corte (sentenze 45/1962 e 79/1961). Con l’esito che l’esercizio del diritto al rimborso, sotteso necessariamente alla compensazione di crediti tributari legittimi, deve attendere. Impedisce la sua realizzazione una preclusione arbitraria che altro non è se non un nuovo modo di essere della odiosa regola del solve et repete.
Il nodo centrale della rivalutazione del ruolo del legislatore, anche alla luce della sentenza in commento, passa attraverso il saldo ancoraggio del sistema tributario al complesso dei principi e dei relativi bilanciamenti che la Costituzione prevede e consente.
Ma, conclude la Corte, «quando il legislatore disattende tali condizioni, si allontana dalle altissime ragioni di civiltà giuridica che fondano il dovere tributario: in queste ipotesi si determina un’alterazione del rapporto tributario, con gravi conseguenze in termini di disorientamento non solo dello stesso sviluppo dell’ordinamento, ma anche del relativo contesto sociale» (sentenza 288/2019). Il legislatore ha argomenti per ravvedersi.