FISCO E AGRICOLTURA/Lo street food cerca l’ingresso nel reddito agrario
Le attività agricole avanzano verso la vendita diretta dei prodotti agricoli in tutte le sedi e si protraggono alla fase di degustazione e di consumo immediato anche in forma itinerante (street food). Tuttavia le nuove aperture legislative devono essere inquadrate nel perimetro delle attività connesse per stabilire se rientrino o meno nel reddito agrario. In particolare quando il consumo diretto richiede una fase di cottura si corre il rischio di uscire dall’ambito agricolo. Si ricorda che la vendita diretta di prodotti agricoli sia sul luogo di produzione che in altre forme e cioè in locali aperti al pubblico, in forma itinerante o via internet, amplia il proprio ambito comprendendo anche la possibilità del consumo diretto. Infatti il comma 8-bis dell’articolo 4 del Dlgs 228/2001 prevede il consumo immediato dei prodotti agricoli, nell’ambito dell’esercizio della vendita diretta, utilizzando i locali e gli arredi nella disponibilità dell’imprenditore agricolo, con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni generali di carattere igienico sanitario.
La legge di Bilancio 2018 introduce lo street food, al comma 499, prevedendo la possibilità di vendere prodotti agricoli anche manipolati o trasformati, già pronti per il consumo, mediante l’utilizzo di strutture mobili nella disponibilità dell’impresa agricola anche con modalità itinerante su aree pubbliche o private. Viene aggiunto anche l’enoturismo (comma 502 della legge 205/2017) con le degustazioni di prodotti vitivinicoli aziendali anche in abbinamento di alimenti.
È necessario anche ricordare cosa si intende per servizio assistito che è escluso nell’ambito di queste attività (altrimenti si ricadrebbe nell’agriturismo o nella ristorazione) ed a tale fine è utile la precisazione del ministero dello Sviluppo economico contenuta nella risoluzione 59196 del 9 febbraio 2018 con la quale si afferma che non può escludersi l’utilizzo di posate in metallo, di bicchieri di vetro nonché tovaglioli in stoffa qualora questi siano messi a disposizione della clientela con modalità che non implicano una attività di somministrazione; in sostanza non devono essere praticate modalità proprie della ristorazione ed il cliente deve servirsi in forma autonoma.
Il problema fiscale che si pone è quello di stabilire se tali attività rientrino fra quelle connesse e quindi se sono ricomprese nel reddito agrario ai sensi dell’articolo 32 del Dpr 917/1986 ed inoltre come devono essere inquadrate ai fini dell’Iva.
Una prima interpretazione porta a qualificare la vendita diretta, compresa la degustazione ed il consumo diretto dei prodotti agricoli, come cessione di beni e non prestazione di servizi. Tale scelta di campo consente di inquadrare tali attività nel reddito agrario se i prodotti venduti e consumati sono compresi nell’elenco contenuto nel decreto ministeriale 13 febbraio 2015. Ad esempio la vendita di un panino con il salame è perfettamente rientrante nel reddito agrario in quanto entrambe le componenti sono comprese nell’elenco.
Anche la degustazione del vino rappresenta una cessione di un prodotto agricolo anche se accompagnata da uno “stuzzichino” che comunque è un bene accessorio. L’attività di enoturismo se svolta da un produttore agricolo segue il regime fiscale dell’agriturismo e quindi della prestazione di servizio (Iva forfetizzata al 50% e reddito pari al 25% dei corrispettivi), ma tale fattispecie si verifica quando l’attività è complessa comprendendo anche visite nei luoghi di produzione, attività di carattere didattico e ricreativo nell’ambito delle cantine. Se invece si tratta di vendita diretta di prodotti vinosi si rientra nella cessione di beni e quindi rientrante sia nel reddito agrario, che nel regime speciale Iva all’articolo 34 del Dpr 633/72.
Pertanto quando la vendita ed il consumo diretto compreso un buon “grappino” rientrano nei prodotti contenuti nell’elenco ministeriale l’attività rientra nel reddito agrario e qualora i beni siano anche compresi nella prima parte della tabella A, allegata al decreto Iva, si applica il regime speciale Iva all’articolo 34 del Dpr 633/72.
Quando invece i prodotti venduti direttamente non sono compresi nell’elenco ministeriale, ma si può ritenere che il processo di produzione rappresenti una prima trasformazione dei prodotti originari agricoli, l’attività rientra nel regime forfetario ex articolo 56-bis del Dpr 917/86 (reddito pari al 15% dei corrispettivi). Potrebbe essere il caso di qualche distillato, diverso dalla grappa, ottenuto con procedure tradizionali dalla vinificazione. Oppure la vendita di salumi con prodotti della panetteria freschi diversi dal pane che possono essere inquadrati fra le attività connesse, ma che non sono compresi nell’elenco ministeriale.
La questione si complica quando i prodotti agricoli necessitano della cottura come ad esempio la vendita diretta di un panino con la salsiccia, prodotti entrambi compresi nel Dm 13 febbraio 2015. Applicando le regole che conosciamo sussiste qualche perplessità nel comprendere tale cessione nel reddito agrario e forse anche nelle attività connesse. Appare scontato la non inclusione nel reddito agrario in quanto la carne cotta non è compresa nell’elenco ministeriale; nella tabella sono comprese la carne essiccata o affumicata, e le salsicce e salami allo stato naturale. Quindi se la salsiccia cotta fosse compresa fra le attività connesse il reddito potrebbe essere determinato in via forfetaria con la percentuale del 15% dei corrispettivi.
Ma occorre stabilire se il processo della cottura possa essere considerato accessorio alla produzione del salame. Al riguardo si nutrono perplessità almeno sulla base delle indicazioni dell’agenzia delle Entrate con la circolare 44 del 15 novembre 2004 nel punto in cui considera agricola la attività che prevede un primo processo di trasformazione, mentre la cottura potrebbe essere considerata una seconda fase. Sostiene infatti la predetta circolare che devono intendersi escluse dall’ambito di applicazione dell’articolo 56-bis del Tuir, le attività di trasformazione non usualmente esercitate nell’ambito delle attività agricole che intervengono in una fase successiva a quella che ha originato i beni elencati nel decreto ministeriale (ora Dm 13 febbraio 2015), atte a trasformare ulteriormente i predetti beni. Nella fattispecie non si tratterebbe di produrre un nuovo bene, ma di presentare con modalità diverse il prodotto trasformato (salsiccia) compreso nell’elenco ministeriale. Al momento a nostro parere non ci sono le condizioni per comprendere fra le attività connesse le vendita di prodotti che hanno subito un processo di cottura. Tuttavia alla luce dell’intendimento del legislatore di favorire il consumo sul posto di prodotti agricoli, concedere anche una semplice fase di cottura sarebbe necessario per completare un vero processo di valorizzazione dei prodotti agricoli.