FISCO E SENTENZE/Le massime di merito: autotutela, rendite catastali e misure cautelari
Decade l’accertamento oltre il termine ordinario se notificato al contribuente con soli redditi da dipendente. Anche il diniego di autotutela deve essere regolarmente sottoscritto dal funzionario. Il maggior valore di mercato legittima l’incremento della rendita catastale delle microzone. No all’avviso di accertamento notificato alla società cancellata prima della riforma. Non va formato il ruolo Ici per gli immobili della società direttamente all’amministratore persona fisica. Vanno rigettate le misure cautelari sprovviste dei requisiti. Sono questi gli argomenti trattati dalla rassegna di questa settimana delle principali pronunce delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado.
Decade l’accertamento oltre il termine ordinario se notificato al contribuente con soli redditi da dipendente
È illegittimo per intervenuta decadenza l’accertamento da redditometro notificato oltre il termine di decadenza ordinario al contribuente percettore di un solo reddito da lavoro dipendente e quindi non obbligato a presentare la dichiarazione dei redditi. Questo perché non si tratta di redditi certi non dichiarati dal contribuente, ma solo di redditi presunti dall’Amministrazione e, quindi, non si è in presenza di una omessa dichiarazione che consenta allo stesso di usufruire di un anno in più (termine lungo) per procedere alla notifica dell’accertamento. Nello specifico, è infondata la tesi del fisco che sostiene la tempestività dell’accertamento per essere avvenuta la notifica entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuta essere presentata (articolo 43, comma 2, del Dpr 600 del 1973), dato che il contribuente non ha presentato la dichiarazione. È per contro valida l’eccezione di intempestività dell’accertamento sostenuta dal ricorrente, perché:
1) lo stesso ha percepito un solo reddito di lavoro dipendente e non era obbligato a presentare la dichiarazione;
2) l’amministrazione avrebbe potuto usufruire del termine lungo solamente se il reddito omesso dal contribuente fosse stato di ammontare certo, ossia in presenza di una chiara omissione, che non opera per il caso di reddito determinato in via presuntiva dall’amministrazione.
Nel caso esaminato, un contribuente percepisce nel 2007 soltanto reddito di lavoro dipendente per oltre 8mila euro. L’amministrazione accerta, sulla base degli indici di capacità contributiva del contribuente, vale a dire l’acquisto di un immobile per oltre 340mila euro e di una autovettura al prezzo dichiarato di 121 euro a fronte di prezzo di listino di oltre 8mila euro, sinteticamente il reddito dello stesso per oltre 14mila euro con accertamento notificato nel novembre 2013.
•Ctr Lombardia, sentenza 515/14/2018
Anche il diniego di autotutela deve essere regolarmente sottoscritto dal funzionario
Il diniego espresso di autotutela emanato dall’Amministrazione finanziaria deve essere sottoscritto dal funzionario dell’ufficio per acquisire validità ed efficacia. Questo perché la sottoscrizione è elemento essenziale che rappresenta l’espressione della volontà dell’ente impositore. Infatti la sottoscrizione del funzionario rappresenta la cerniera tra volontà della persona fisica che si immedesima nell’ente impositore al quale tale volontà viene imputata. Conseguentemente è illegittimo il diniego espresso di autotutela emanato dall’ufficio in assenza della sottoscrizione del funzionario.
Nel caso esaminato, l’Amministrazione notifica nel febbraio 2011 due accertamenti ad una contribuente alla quale contesta l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per oltre 27mila euro e l’omessa contabilizzazione di fatture emesse per un imponibile di oltre 300mila euro, relativamente al periodo d’imposta 2006, nonché l’omessa contabilizzazione di fatture per imponibile di oltre 783mila euro, relativamente al periodo d’imposta 2007. Contestualmente l’ufficio inoltrava notizia di reato alla Procura della Repubblica, cui seguiva apertura procedimento penale nei confronti della contribuente. In seguito, nel settembre 2015, il Gip dispone l’archiviazione del procedimento per non aver mai la contribuente emesso le fatture oggetto di contestazione. La contribuente chiedeva l’annullamento degli avvisi di accertamento tramite apposita istanza in autotutela notificata nel novembre 2016, ma rigettata dall’ufficio tramite diniego espresso, non sottoscritto.
•Ctp Treviso, sentenza 59/1/2018
Il maggior valore di mercato legittima l’incremento della rendita catastale delle microzone
È legittima la modifica della rendita catastale tramite la quale l’amministrazione finanziaria attribuisce un maggior valore alla rendita originaria dell’immobile ricadente nella microzona oggetto di revisione resasi necessaria al fine di riallineare i valori catastali a quelli di mercato. In primo luogo, dal punto di vista motivazionale, l’atto è valido siccome rispondente alla normativa di riferimento (articolo 1, comma 355, della legge 311 del 2004) proprio perché il presupposto della revisione – e di conseguenza dell’incremento – è il maggior valore di mercato, senza che l’ufficio debba indicare caratteristiche proprie del bene. In secondo luogo, dal punto di vista procedimentale, l’accertamento è altresì valido anche se l’Amministrazione non ha effettuato alcun sopralluogo presso l’immobile stante l’assenza di una specifica previsione normativa sul punto. In terzo luogo, dal punto di vista descrittivo, l’atto evidenzia tutte le caratteristiche che hanno comportato l’incremento del valore della zona in cui è l’immobile ricade (quali miglioramento dei servizi pubblici, l’espansione edilizia, l’incremento della redditività del tessuto urbano, eccetera.
Nel caso esaminato, un contribuente è proprietario di un immobile di categoria catastale C/1 (botteghe e negozi), con rendita di oltre 5mila euro. A seguito della revisione dovuta al maggior valore di mercato della microzona in cui è situato il bene, l’Agenzia del Territorio attribuisce rendita maggiore di oltre 10mila euro tramite avviso di accertamento catastale.
•Ctr Lazio, sentenza 147/10/2018
No all’avviso di accertamento notificato alla società cancellata ante riforma
Stop all’accertamento notificato alla società cancellata dal registro delle imprese prima dell’introduzione della norma che ha disposto il differimento quinquennale dell’estinzione. Intanto perché la modifica legislativa ha carattere sostanziale, introdotta dal legislatore il 13 dicembre 2014, e non carattere procedurale e, quindi, non opera per le cancellazioni richieste prima di tale data. Poi perché l’ex liquidatore, nonché ex socio, è legittimato ad agire in giudizio avendone concreto interesse, dato che l’avviso è a lui materialmente consegnato. Nello specifico, va respinta la contraddittoria tesi del fisco secondo cui:
■dal punto di vista processuale, l’ex liquidatore non è legittimato a proporre ricorso avverso un atto intestato alla società, perché, a seguito della cancellazione, lo stesso non ha più alcun potere di rappresentanza;
■dal punto di vista sostanziale, l’avviso intestato alla società è valido perché l’ente deve essere considerato in vita, dal momento che opera il differimento quinquennale dell’estinzione come disposto dall’articolo 28 del decreto legislativo 175 del 2014, norma avente carattere procedurale, con valenza retroattiva. Per contro, è valida la tesi sostenuta dall’ex liquidatore, perché:
1) dal punto di vista processuale, egli è legittimato ad agire in giudizio avendone concreto interesse, siccome l’atto è stato a lui notificato materialmente notificato;
2) dal punto di vista sostanziale, l’avviso intestato alla società cancellata in epoca precedente al 13 dicembre 2014 non è valido siccome la norma introduttiva della postergazione dell’estinzione vale solo per il futuro perché di natura.
Nel caso esaminato, l’agenzia delle Entrate, sulla base dei rilievi emersi da un Pvc redatto dai militari della Gdf nel settembre 2014, notifica un accertamento ad una società nell’ottobre 2016 e contesta ricavi non dichiarati per oltre 40mila euro relativi all’anno 2011, società tuttavia già cancellata nel febbraio 2014.
•Ctp L’Aquila, sentenza 5/2/2018
Non va formato il ruolo Ici per gli immobili della società direttamente all’amministratore persona fisica
L’imposta comunale sugli immobili (Ici) deve essere richiesta al soggetto che risulta essere effettivo proprietario del bene, ossia al soggetto passivo d’imposta, così come dispone la norma sul punto. Pertanto è nulla per carenza del presupposto impositivo l’iscrizione a ruolo formata dall’ente locale e la successiva cartella di pagamento notificata dal concessionario all’amministratore di una società di capitali, se gli immobili gravati dall’imposta sono di proprietà della persona giuridica. A maggior ragione la pretesa è palesemente infondata se per gli anni d’imposta oggetto di contestazione il contribuente non ricopriva ancora la carica di legale rappresentate.
Nel caso esaminato, il concessionario della riscossione nel marzo 2010 notifica all’amministratore di una Srl un’iscrizione a ruolo attinente ad Ici per gli anni 2003 e 2004 per oltre 122mila euro, riguardante gli immobili di proprietà della società di capitale.
•Ctr Sicilia, sezione staccata Siracusa, sentenza 313/04/2018
Vanno rigettate le misure cautelari sprovviste dei requisiti
Non va accolta la richiesta di applicazione della misura cautelare (nel caso di specie, rappresentata dalla richiesta di iscrizione ipotecaria sui beni immobili di proprietà del contribuente) avanzata dall’Amministrazione se non sussistono presupposti disposti dalla normativa di riferimento, ossia il fumus boni juris e il periculum in mora. Nello specifico, non è fondata la tesi dell’ufficio secondo cui sussistono i presupposti di cui all’articolo 22 del decreto legislativo 472 del 1997. Mentre, è valida la tesi del contribuente secondo mancano i presupposti per la misura cautelare richiesta dall’erario e in particolare:
1) il fumus non sussisterebbe perché le risultanze emerse dalla verifica sono state adeguatamente contrastate da copiosa documentazione;
2) il periculum non sussisterebbe dato le operazioni extracontabili individuate dall’ufficio non sono certe, ma sono frutto di una valutazione soggettiva dell’ente impositore e Non ha posto in essere al tempo della verifica operazioni tese a depauperare il proprio patrimonio al fine di sottrarlo al soddisfacimento dei debiti erariali.
Nel caso esaminato, l’Amministrazione, sulla base di un’attività di verifica della Guardia di Finanza per gli anni dal 2011 al 2015, dei correlati avvisi di accertamento formati per gli anni dal 2011 al 2015, e residue iscrizioni a ruolo per oltre 335mila euro trasfuse in 24 cartelle esattoriali, vanta nei confronti di un contribuente crediti erariali per oltre 4milioni di euro, e chiede di iscrivere ipoteca sui beni immobili del contribuente, stimato dall’Agenzia provinciale del Territorio, in poco più di 500mila euro, tramite apposita istanza alla Ctp depositata nel novembre 2017.
•Ctp Lecce, sentenza 399/01/2018