FISCO E SENTENZE/Le massime di merito: fallimento, accertamento e locazione
L’avvocato non può emettere la nota di variazione per la “sola Iva” per i crediti non incassati dalla società poi fallita. Nullo l’«avviso di presa in carico» se la sottesa «intimazione di pagamento» non è stata notificata presso la società. La disciplina dell’elusione fiscale vale anche per l’”avviso di liquidazione” che nasconde ai fini del registro un “avviso in rettifica”. Obbligo di dichiarazione degli affitti per il pro-quota anche quando il contratto è intestato ad uno solo dei comproprietari. Senza Tarsu l’immobile demaniale inutilizzabile pontezialmente non producibile di rifiuti con ordinanza di sgombero a causa della pericolosità dei locali. Ammortizzabili anche le spese di ristrutturazione sostenute sui beni di terzi oggetto di leasing. Bastano le giustificazioni del contribuente per annullare l’accertamento “finanziario” anche in caso di omessa presentazione di Unico. Sono questi gli argomenti trattati dalla rassegna di questa settimana delle principali pronunce delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado.
Non si emette la nota di variazione per la «sola Iva» per i crediti non incassati
L’Avvocato, creditore della società poi fallita, una volta ammesso al passivo, non può emettere una nota di variazione (nota di credito) per la «sola Iva», qualora abbia riscosso un importo inferiore rispetto al quantum complessivamente liquidato. Questo perché devono essere rispettati i dettami di cui all’articolo 26 del Dpr 633 del 1972, secondo cui, nel caso di procedure concorsuali rimaste in tutto o in parte infruttuose, è ammessa l’emissione della nota di variazione che deve indicare dettagliatamente sia imponibile sia Iva, che è imposta indissolubilmente legata all’imponibile. In pratica, il professionista deve emettere la fattura al netto di quanto già percepito, ed in caso di incasso di un minore importo rispetto a quello fatturato, deve emettere la nota credito in cui va evidenziato sia l’imponibile sia l’Iva. Altrimenti ciò comporterebbe scindere l’indissolubile collegamento che lega l’imposta all’operazione imponibile col conseguente risultato, per l’amministrazione, di non incassare nessuna somma a titolo di Iva a fronte di un’operazione imponibile.
Nel caso di specie, un avvocato presta assistenza nei confronti di una Spa, poi dichiarata fallita nel 2008 e, per ottenere il pagamento dei propri onorari ammontanti ad oltre 66mila euro, oltre oneri accessori quali Iva e contributi previdenziali, s’insinua nel passivo ed emette la relativa fattura nel giugno 2011. Tuttavia gli viene pagato un importo inferiore e il professionista emette nel luglio 2011 una nota credito in cui espone la sola Iva. L’Amministrazione contesta tale operazione tramite un avviso di rettifica notificato nel novembre 2016.
• Ctp Mantova, sentenza 1/2/2018
Stesso indirizzo per notificare la presa in carico e l’intimazione di pagamento
In base al cosiddetto «principio della nullità derivata», va annullato l’«avviso di presa in carico» notificata alla società se la sottesa intimazione di pagamento non è stata notificata presso la sede legale della società. Non può, infatti, essere considerata equipollente la notifica dell’intimazione al difensore fiscale che aveva curato il contenzioso avente ad oggetto gli avvisi di rettifica Iva della società, dai quali sono derivati, in epoca successiva, dapprima le intimazioni di pagamento, e poi ancora l’avviso di presa in carico. Quanto precede vale a maggior ragione se si pensa che l’avviso di rettifica Iva, primo atto della sequela della triade, è stato regolarmente notificato alla società.
Nel caso di specie, una società ricorre avverso gli avvisi di rettifica Iva, ma perde in entrambi i giudizi di merito. Sulla scorta di tali avvisi l’Amministrazione affida al Concessionario la riscossione delle somme, il quale, nel dicembre 2016, notifica dapprima l’intimazione di pagamento presso il difensore della società contribuente anziché presso la sede sociale della contribuente. Nell’aprile 2017, poi, notifica presso la sede legale, l’avviso di presa in carico delle somme concernenti l’intimazione di pagamento.
• Ctp Sondrio, sentenza 14/0/2018
Serve il contraddittorio per l’avviso di liquidazione che cela una rettifica
L’Amministrazione non può riqualificare la cessione di quote di una Snc, proprietaria di un terreno, in una cessione dello stesso terreno, e pretendere maggiore imposta di registro, ritenuta dovuta in misura proporzionale anziché fissa, senza instaurare il cosiddetto contraddittorio preventivo col contribuente, sul presupposto che l’atto emesso è un avviso di liquidazione anziché un avviso in rettifica. Ciò perché tramite l’avviso di liquidazione l’Amministrazione pone di fatto in essere un’attività accertativa sull’abuso di diritto, per il quale è necessario instaurare il contraddittorio preventivo col contribuente, pena l’invalidità dell’atto tributario. In pratica, l’interpretazione antielusiva effettuata dall’Amministrazione si basa sulla circostanza che, assieme all’atto principale (cessione totalitaria delle quote), siano stati considerati altri atti e/o fatti, e, poiché tale modus operandi si sostanzia in un’attività accertativa-antielusiva, è obbligatorio un dialogo preventivo col contribuente. E in tale direzione muove anche il nuovo articolo 10-bis della legge 212 del 2000, secondo cui l’abuso del diritto è accertato con apposito atto previa instaurazione del contraddittorio preventivo, a pena di nullità.
Nel caso di specie, una Snc è proprietaria di un terreno ed è partecipata da due persone fisiche. La stessa svolge l’attività di compravendita, permuta e locazione di immobili, e viene posta in liquidazione per mancanza pluralità dei soci a seguito del decesso di uno di essi avvenuto nel maggio 2013. In seguito il socio superstite provvede nell’aprile 2014 a revocare lo stato di liquidazione a seguito della cessione della sua partecipazione avvenuta in pari data ad altri due contribuenti, mediante pagamento dell’imposta di registro in misura fissa. Ma per l’Amministrazione la cessione quote in realtà nasconde la cessione del terreno e nel 2017 notifica un avviso di liquidazione tramite cui ricupera la maggiore imposta di registro ritenuta dovuta in misura proporzionale, oltre sanzioni ed interessi, per oltre 80mila euro.
• Ctp Treviso, sentenza 97/1/2018
Dichiarazione degli affitti per il pro-quota anche se il contratto è intestato ad uno solo
Il reddito dell’immobile intestato a più soggetti va ripartito, e quindi dichiarato, pro-quota da ogni comproprietario, indipendentemente dalla circostanza che l’immobile concesso in locazione abbia il contratto d’affitto intestato ad uno solo dei comproprietari. Va infatti respinta la tesi dell’Amministrazione secondo cui, ai sensi dell’articolo 26 del Tuir, ciascun titolare deve dichiarare il reddito fondiario per la quota di proprietà, perché ciò vale solamente per gli immobili “non locati”, ossia con riferimento alla sola rendita catastale, mentre in questo casol’immobile è locato ed il relativo contratto è intestato ad uno solo dei comproprietari percettore della pigione.
Per contro, è valida la tesi del contribuente secondo cui, in caso di contitolarità dell’immobile, il reddito fondiario (nella fattispecie, costituito dai canoni di locazione) va dichiarato pro-quota da ciascun comproprietario, senza che rilevi la circostanza che il contratto di locazione sia intestato ad uno solo dei titolari. Infatti:
a) l’articolo 26 del Tuir dispone che i redditi fondiari concorrono pro-quota a formare il reddito indipendentemente dall’effettiva percezione, ossia in base al principio di competenza anziché con il principio di cassa, e quindi con riferimento ad ogni tipologia di reddito fondiario, ivi inclusa la locazione;
b) l’articolo 37 del Tuir statuisce che il reddito di riferimento è quello determinato dalla rendita catastale mentre, qualora l’immobile sia locato e la rendita catastale sia inferiore al canone di locazione ridotto forfettariamente del 95%, il reddito di riferimento sarà il predetto canone.
Nel caso di specie, due contribuenti sono contitolari in parti uguali di un’unità immobiliare concessa in locazione nel 2010 al canone annuale di 6mila euro. Il relativo contratto di locazione è intestato però solamente ad uno di essi, che si limitata a dichiarare 3mila euro in quanto proprietario del cinquanta per cento dell’immobile. Ma secondo l’Amministrazione il canone va dichiarato interamente dal titolare intestatario del contratto di locazione e accerta maggiore Irpef a seguito dell’omessa dichiarazione pari a 3mila euro –differenza tra canone risultante dal contratto di locazione rispetto all’importo dichiarato – tramite accertamento notificato nel maggio 2015.
• Ctr Lombardia, sezione staccata Brescia, sentenza 507/23/2018
Senza Tarsu l’immobile demaniale inutilizzabile usato come discarica abusiva
Non paga la Tarsu l’immobile posseduto dall’Agenzia del Demanio poi dichiarato inagibile per lo pessimo stato di conservazione e manutenzione. A maggior ragione se con successiva ordinanza l’ente locale ha richiesto di provvedere allo sgombero e al risanamento strutturale delle parti interessate al maggior degrado. E non rileva che poi questo immobile sia poi stato da ignoti usato come discarica abusiva di rifiuti, e, quindi, a sua volta produttore di rifiuti. È errata, infatti, la tesi dell’ente locale. secondo cui la semplice detenzione dell’immobile è condizione sufficiente per assoggettarlo alla tassa, indipendentemente dalla effettiva formazione di rifiuti. Va invece accolta la tesi dell’agenzia Demaniale la quale ha dimostrato l’inidoneità del bene al produrre rifiuti siccome impraticabile ovvero inagibile, come si evince dall’ordinanza emessa dallo stesso ente impositore, che ha dichiarato la pericolosità dell’immobile. Trattasi, in pratica, di circostanza in cui risultano le obiettive condizioni di inutilizzabilità del bene, e quindi di esclusione per l’assoggettamento alla Tarsu, come disposto sia dalla normativa di riferimento (secondo comma dell’articolo 62 del Decreto Legislativo n. 507 del 1993), che dalla prassi (Circolare Ministeriale n. 95/E del 22 giugno 1994)
Nel caso di specie, l’Agenzia del Demanio detiene un immobile poi dichiarato inagibile dall’Ufficio Tecnico Comunale a seguito di sopralluogo effettuato nel luglio 2007. In seguito, tuttavia, l’Ente locale, tramite il Concessionario della Riscossione, notifica nel novembre 2013 l’”avviso di pagamento” per l’anno d’imposta 2012 per oltre 6mila euro. L’Agenzia del Demanio eccepisce come sette subalterni del foglio 5, particella 102, risultano liberi ed inutilizzati anche per le fatiscenti condizioni di manutenzione, tant’è che il competente Ufficio Tecnico del Comune ha effettuato nel luglio 2007 un sopralluogo presso il Residence e con ordinanza ha intimato di provvedere allo sgombero ed al risanamento strutturale delle parti interessante al maggior degrado. Nello specifico, trattasi di locali in pessimo stato di conservazione e manutenzione, e le condizioni riscontrate sono da ritenere pericolose al fine di salvaguardare l’incolumità delle persone che potrebbero accedere ai locali, lasciati incustoditi e senza serrature di protezione all’esterno. Tant’è che il 7 febbraio 2014 segue una seconda ordinanza di rimozione per pericolo igienico e statico, essendo l’immobile in totale stato di abbandono, privo di allacci alla rete di scarico, tale da non essere idoneo a produrre rifiuti. Né può addebitarsi all’Agenzia un’attività illecita, cioè l’utilizzo dell’immobile quale discarica abusiva, posta in essere da ignoti. Anche se per l’Ente Locali tali locali sono utilizzati quale discarica di rifiuti di ogni genere, i quali producono, di fatto, rifiuti, e che una valutazione della sicurezza del 19 giugno 2014 ha accertato che l’iniziale assetto strutturale dell’immobili non risulta modificato né danneggiato e degradato potendo così assolvere le propri funzioni statiche senza intervento alcuno. Per contro, per l’immobile di cui al foglio 23, particella 20, esso risulta essere utilizzato dai Vigili del Fuoco sin dal 26 marzo 1996.
• Ctr Lazio, sentenza 542/13/2018
Ammortizzabili anche le ristrutturazioni sostenute sui beni in leasing
Vanno annullate le riprese a tassazione delle le quote di ammortamento inerenti le spese di ristrutturazione (manutenzione straordinaria) capitalizzate dalla società locataria anche se effettuate su beni di terzi e detenuti in locazione finanziaria. In assenza di una specifica normativa in ambito fiscale, vanno infatti applicate le disposizioni civilistiche di cui all’articolo 2426 del Codice civile. Esso consente che le spese di ristrutturazione capitalizzabili (iscritte in bilancio sotto la voce «Costi di impianto ed ampliamento», ovvero «Altre immobilizzazioni immateriali») siano ammortizzabili nel termine di cinque anni, ancorché le stesse siano riferibili a beni immobili detenuti sulla scorta di un contratto di leasing della durata di otto anni.
È altresì illegittima la ripresa concernete i corrispettivi erogati dalla società ad istituti di credito iscritte in bilancio sotto la voce «Costi per servizi» (voce B7 Bilancio Cee) anziché sotto la voce «Oneri finanziari», e quindi ritenuti dall’Amministrazione indeducibili ai fini Irap, se tali somme non sono state erogate a titolo di rimborso di finanziamento e/o mutuo, ma come compensi di un servizio che tali istituti si obbligano a rendere ai clienti della società, e quindi correttamente indicati in bilancio come servizi, che abbattono l’imponibile Irap.
Nel caso di specie, una Spa detiene in leasing immobili di proprietà di terzi sui quali effettua manutenzioni straordinarie nel 2003 e che capitalizza in bilancio detraendo poi i corrispondenti ammortamenti. Nello stesso anno eroga delle somme agli istituti di credito per i servizi da questi resi nei confronti dei clienti della società. Secondo l’Amministrazione, intanto, le quote di ammortamento non sono deducibili perché effettuate su beni di terzi, e quindi riprende gli ammortamenti delle spese di manutenzione ai fini Irpeg per oltre 18mila euro. Poi le somme erogate agli istituti di credito non sono qualificabili come spese per servizi bensì come oneri finanziari e quindi esclusi dalla base imponibile Irap, e ricupera ai fini Irap tali somme per oltre 781mila euro.
• Ctr Sardegna, sentenza 92/1/2o18
L’omissione di Unico non preclude la giustificazione all’accertamento
Anche se non ha presentato Unico, va annullato l’accertamento basato sulle indagini bancarie ed emesso nei confronti del professionista che ha comunque giustificato le somme transitate sui conti correnti a lui intestati. Da una parte l’omessa presentazione di Unico legittima l’Amministrazione a far uso della «presunzione legale relativa» come disposto dal comma 1 dell’articolo 32 del Dpr numero 600 del 1973 per quanto riguarda le imposte dirette, e del comma 2, articolo 51 del decreto 633 del 1972. Dall’altra parte, però, l’accertamento finanziario così formato può essere sempre contrastato dal contribuente che prova come le somme transitate sui conto non riguardano redditi sottratti a tassazione.
Nel caso di specie, un Avvocato non presenta la dichiarazione fiscale per l’anno 2006. L’Amministrazione, sulla scorta delle movimentazioni bancarie a lui riferibili, accerta un reddito di lavoro autonomo imponibile di oltre 58mila euro. Resiste l’uomo e sostiene che le somme transitate sul conto corrente non sono a lui riferibili: a) Per quel che concerne le somme transitate su un primo conto, le movimentazioni sono esclusivamente riconducibili al coniuge, sul quale lo stesso ha solo facoltà di traenza; b) Per quel che concerne le somme transitate su un secondo conto, l’uomo ha dimostrato che riguardano pagamenti dei canoni di locazione in favore del figlio fuori sede.
• Ctr Sicilia, sezione staccata Caltanissetta, 511/07/2018