Controlli e liti

FISCO E SENTENZE/Le massime di merito: integrativa, ottemperanza, immobili rurali

di Ferruccio Bogetti e Filippo Cannizzaro

Via libera alla dichiarazione integrativa a favore presentata entro i termini per l’accertamento. Nel giudizio di ottemperanza gli atti impeditivi non bloccano il rimborso. Non servono formule sacramentali per il disconoscimento in giudizio della conformità tra originale e sua copia fotostatica. Il costo virtuale della cessione gratuita riduce il valore della plusvalenza del terreno edificabile. La storicità dell’immobile e la senescenza non impediscono la sua ruralità anche con una superficie di lusso. La Ctp può ridurre i maggiori ricavi a quelli derivanti dalla perizia del Ctu nominato d’ufficio. Sono questi gli argomenti trattati dalla rassegna di questa settimana delle principali pronunce delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado.

Sì all’integrativa a favore presentata entro i termini per l’accertamento

Il contribuente può emendare errori di fatto o di diritto presenti nella propria dichiarazione dei redditi, determinanti un maggior carico tributario, mediante l’invio di una dichiarazione integrativa, la quale può essere presentata entro i termini previsti per l’accertamento delle imposte e ciò vale anche per le dichiarazioni relativi ai periodi d’imposta ante 2016. Va pertanto rigettata la tesi dell’Amministrazione secondo cui il contribuente può correggere errori che abbiano determinato un maggior carico tributario, ovvero un minor credito, tramite invio di una dichiarazione a favore entro i termini ordinari previsti per l’accertamento soltanto per i periodi d’imposta dal 2016 in poi. Secondo la tesi erariale, infatti, la normativa, che ha introdotto tale possibilità (articolo 2 del Dpr 322 del 1998, commi 8 ed 8-bis, modificato dall’articolo 5 del Dl 193/2016), non può valere per i periodi d’imposta antecedenti. Per contro, è valida la tesi del contribuente, che quindi può correggere la propria dichiarazione anche per i periodi ante 2016, perché:
a) da un punto di vista sostanziale, la correzione della propria dichiarazione, tramite invio di una integrativa a favore, evita al contribuente di essere assoggettato ad oneri tributari maggiori di quelli che effettivamente dovrebbe sopportare, e ciò al fine di rispettare il principio di capacità contributiva costituzionalmente garantito;
b) dal punto di vista processuale, la correzione della dichiarazione è ammissibile anche in giudizio, al fine di consentire al contribuente di difendersi da una pretesa illegittima.
Nel caso esaminato, una società ricorre avverso l’iscrizione a ruolo derivante da procedura automatizzata ex articolo 36-bis del Dpr 600 del 1973, tramite cui l’amministrazione recupera minor Iva a credito per oltre 75mila euro utilizzato in compensazione relativa al periodo d’imposta 2009. Il contribuente sostiene che, in realtà l’Iva, da recuperare è di poco oltre 3mila euro circa, come da dichiarazione integrativa anche se presentata oltre l’anno decorrente dall’invio del modello Unico 2010.

Ctr Lombardia, sentenza 407/1/2018


Nel giudizio di ottemperanza gli atti impeditivi non bloccano il rimborso

Sbaglia l’Amministrazione a chiedere la cessazione della materia nel giudizio di ottemperanza giustificata solo dall’invio dell’istanza di rimborso all’ufficio territorialmente competente se la somma non è stata materialmente erogata al contribuente. Intanto perché il semplice invio all’ente competente rientra tra i atti interni e, quindi, non è idoneo ad assicurare la disponibilità effettiva delle somme liquidate al ricorrente. Poi non rilevano nemmeno i atti impeditivi al rimborso dovuti ad eventuali debiti erariali del contribuente, quali compensazioni, fermi amministrativi, sospensione di pagamento, eccetera. Si tratta di istituti che operano solo nel giudizio di cognizione e che non possono trovare applicazione nel giudizio di ottemperanza, ove il giudice è chiamato a pronunciarsi solo in ordine all’esecuzione della sentenza.
Nel caso esaminato, una società ottiene il diritto al rimborso di oltre 580mila euro relativi ad Irpef e Ilor dell’anno d’imposta 1983, con sentenza definitiva del 2013. L’Amministrazione non adempie e la contribuente promuove giudizio di ottemperanza nel 2017.

Ctr Lombardia, sentenza 109/01/2018


Non c’è un formula per disconoscere la conformità tra originale e copia

Nel processo tributario, l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale di un scrittura e la sua copia fotostatica prodotta in giudizio, va effettuato in maniera chiara e specifica, anche se tale contestazione non implica l’uso di formule sacramentali. Nel dettaglio, il disconoscimento della relata di notifica è ritenuto valido se alternativamente:
a) la documentazione prodotta non è collegabile ad uno specifico atto, perché manca il numero della cartella di pagamento;
b) la firma apposta risulta del tutto illeggibile;
c) l’esistenza dell’originale viene contestato.
In tal caso, il giudice tributario ha l’obbligo di ordinare l’esibizione degli originali della contestata documentazione prodotta in copia, pena l’inutilizzabilità della documentazione quale mezzo probatorio.
Nel caso esaminato, un contribuente si oppone al fermo amministrativo notificatogli dal concessionario della riscossione basato su cartelle, che il ricorrente sostiene di non aver mai ricevuto. Il Concessionario resiste e si limita a produrre produce le copie delle relate di notifica e degli avvisi di ricevimento, anziché gli originali, prontamente disconosciuti dal contribuente.

Ctr Lazio, sentenza 356/02/2018


Il costo virtuale della cessione gratuita riduce il valore della plusvalenza

La cessione gratuita all’ente locale di parte di terreni (prima agricoli, e poi edificabili), rientranti nel piano di lottizzazione, rappresenta un costo virtuale che innalza il costo iniziale necessario per la determinazione della relativa plusvalenza che viene così ridotta. Va pertanto disconosciuta la tesi dell’Amministrazione che considera il valore iniziale dei terreni (nella fattispecie, acquisiti per successione) escludendo il costo virtuale rappresentato dalla parziale cessione gratuita in favore del Comune. Ciò perché tale cessione gratuita determina un minor valore delle sue proprietà, valore che deve essere considerato ai fini della corretta quantificazione delle plusvalenza. Restano in ogni caso deducibili le imposte pagate per l’acquisizione dell’intero terreno.
Nel caso esaminato, un contribuente vende nel 2003 parte dei propri terreni edificabili aventi superficie di 590 metri quadrati L’amministrazione accerta plusvalenza con atto notificatogli nel 2008, plusvalenza quantificata in oltre 50mila euro. Il contribuente si oppone perché il valore iniziale del terreno, preso a riferimento dall’ufficio, doveva essere incrementato del valore dell’area ceduta gratuitamente al comune, per complessivi 14.401,10 metri quadrati, corrispondente a oltre 9mila euro, nonché delle imposte di successione delle terreno venduto pari a oltre 7mila euro.

Ctr Sicilia, sezione staccata Siracusa, sentenza 273/04/2018


La storicità dell’immobile e la senescenza non impediscono la sua ruralità

Va qualificato come rurale l’immobile che presenta caratteristiche oggettive tali da farlo rientrare in detta categoria anche laddove il bene abbia una superficie superiore ai 240 metri quadrati e quindi potenzialmente definibile come di lusso. Non trova infatti applicazione l’articolo 6 del Dm 2 agosto 1969 che individua le caratteristiche delle abitazioni di lusso, dovendosi per contro verificare l’esistenza dei requisiti di ruralità, quali, nel caso esaminato: l’immobile è ubicato in zona in cui le altre abitazioni sono storicamente tutte rurali, anche se hanno superficie superiore ai 240 metri quadrati; il fabbricato è in cattivo stato per cui non può essere mai qualificabile come di lusso pur superando la superficie prevista dal Dm 2 agosto 1969.
Nel caso esaminato, un contribuente presenta tramite procedura Docfa la pratica di accatastamento di tre unità immobiliari proponendo la Categoria A/3 (abitazione di tipo economico). L’Agenzia del Territorio rettifica la rendita proposta nel 2016 perché con una superficie superiore ai 240 metri quadrati il bene fa automaticamente incluso nella categoria degli immobili di lusso.

Ctp Treviso, sentenza 03/03/2018


La Ctp può ridurre i maggiori ricavi calcolati dalla Gdf

Possono essere ridotti i maggiori ricavi determinati dall’Amministrazione sulla scorta del pvc redatto dai militari della Gdf se il giudice di primo grado ritiene opportuno affidare l’analisi dell’attività di verifica a un Consulente tecnico d’ufficio (Ctu) appositamente nominato e fondare il proprio decisum sulla relazione da questi fornita che risulta essere maggiormente dettagliata. Va disattesa la tesi dell’Amministrazione secondo cui:
1) Il ricorso alla Ctu disposto dal giudice di prime grado non è necessario, poiché tutte le informazioni sono state già raccolte nella fase d’indagine da parte dell’organo ispettivo;
2) i risultati della Ctu non sono corretti;
3) quanto verbalizzato dai militari nel Pvc fa piena prova fino a querela di falso.
Va invece confermato l’operato del giudice di primo grado, che ha ritenuto di dover approfondire il contenuto dell’attività ispettiva incaricando il Ctu di redigere apposita consulenza tecnica, così da assumerla poi in giudizio risultando a stessa maggiormente specifica e veritiera.
Nel caso esaminato, l’Amministrazione, sulla scorta di un pvc redatto dai militari della GdF, accerta maggiori ricavi in capo ad una società di costruzioni per gli anni dal 2001 al 2005. La contribuente si oppone e il giudice ordina una consulenza tecnica d’ufficio al fine di meglio ponderare l’indagine svolta dalla GdF, la quale sfocia poi in una relazione maggiormente dettagliata, ed i cui risultati risultano diversi ed inferiori a quelli ottenuti dai militari.

Ctr Puglia, sezione staccata di Lecce, sentenza 66/22/2018

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