Controlli e liti

FISCO E SENTENZE/Le massime di merito: ravvedimento, raddoppio dei termini, crediti d’imposta

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di Ferruccio Bogetti e Filippo Cannizzaro

L'errore ridotto nel versamento di sanzioni e interessi non pregiudica il ravvedimento operoso. Stop al raddoppio per la denuncia oltre il termine ordinario. Nullo l’accertamento senza contraddittorio preventivo con il contribuente . Spetta il credito d’imposta anche per l’assunzione del proprio coniuge. Le parti accessorie non rilevano per la qualifica di lusso dell’immobile. Sono i temi della rassegna di questa settimana delle principali pronunce delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado.

L’errore ridotto nel versamento di sanzioni e interessi non pregiudica il ravvedimento operoso
È valido il ravvedimento operoso se il contribuente paga le imposte avvalendosi di tale istituto anche se per mero errore di calcolo gli interessi (interessi versati in misura inferiori di soli 29 euro rispetto ai 51) e le sanzioni (sanzioni versate in misura inferiori per 98 centesimi) sono stati versati in misura irrisoriamente inferiore rispetto all’importo effettivamente dovuto, perché sono presenti congiuntamente sia un requisito soggettivo sia un requisito oggettivo. Dal punto di vista soggettivo, è palese l’intenzione del contribuente di pagare le imposte non versate alle scadenze ordinarie e quindi di sanare la propria posizione spontaneamente, usufruendo di sanzioni e interessi in misura ridotta. Dal punto di vista oggettivo, le imposte sono state versate integralmente, risulta essere irrisoria l’entità delle somme non versate a titolo di sanzioni e interessi non consente all’amministrazione di ritenere non efficace l’istituto, dato che diversamente ciò comporterebbe un utilizzo distorto dell’imposizione, contrario al principio di proporzionalità di matrice europea.
Pertanto è illegittimo il ruolo e la conseguente cartella di pagamento tramite cui l’erario recupera sanzioni e interessi in misura piena perché ritiene che il versamento effettuato tramite ravvedimento operoso sia stato insufficiente, con conseguente inefficacia dell’istituto.
Nello specifico, a fronte di Iva dovuta per oltre 58mila euro relativo all’anno 2005 e pagata dal contribuente tramite ravvedimento operoso con sanzioni al 3,75% pari a oltre 2mila euro e interessi per circa 29euro, il fisco ha emesso ruolo calcolando sanzioni e interessi in misura piena per oltre 11mila euro.
Ctr Lazio, sentenza 6256/1/2017

Stop al raddoppio per la denuncia oltre il termine ordinario
È illegittimo l’accertamento emesso dall’amministrazione che intende usufruire del raddoppio dei termini se la notitia criminis (relativa a fatture per operazioni inesistenti relative al periodo d’imposta 2007) è presentata oltre il termine ordinario di accertamento (la denuncia di reato è stata presentata nell’ottobre 2013).
Dal punto di vista positivo, la legge di Stabilità 2016, che ha eliminato il raddoppio dei termini in presenza di violazioni comportanti l’obbligo di denunzia a partire dal periodo di imposta 2016, ha introdotto un regime transitorio in cui ha chiaramente disposto che per i periodi d’imposta sino al 2015 il raddoppio opera solo se la denunzia penale è presentata entro il termine ordinario di accertamento (commi 130-131-132 dell’articolo 1 della legge 208/2015).
Dal punto di vista negativo, è da ritenersi implicitamente abrogata la previgente disciplina disposta dall’articolo 2 del Dlgs 128/2015, che rendeva salvi gli accertamenti notificati sino al 2 settembre 2015 (clausola di salvaguardia), dato che tale clausola non è stata riproposta nella legge di Stabilità 2016,la quale ha disposto per l’applicazione del raddoppio dei termini solo se la comunicazione del reato è presentata entro i termini ordinari di accertamento.
Ctr Lombardia, sentenza 3486/14/2017

Nullo l’accertamento senza contraddittorio preventivo con il contribuente
È illegittimo l’accertamento se, a seguito dell’accesso presso il locali in cui è svolta l’attività del contribuente, questi non può esercitare il proprio diritto di difesa nella fase pre-accertativa, ossia se non è stato correttamente instaurato il contraddittorio endo-procedimentale tra amministrazione e contribuente.
Infatti è infondata la tesi erariale in base alla quale l’assenza della redazione del processo verbale di constatazione, a seguito di due accessi effettuati presso il locali in cui il contribuente svolge la propria attività, impedisce il decorrere dei sessanta giorni previsti dal settimo comma dell’articolo dodici dello Statuto del contribuente, termine entro il quale lo stesso può esporre le proprie difese prima dell’emissione dell’atto impositivo.
È valida la tesi del contribuente, che eccepisce la nullità dell’accertamento per omessa attivazione del contraddittorio preventivo il quale è espressione di un diritto fondamentale garantito dall’Ue (articoli 41, 47 e 48 Carta di Nizza 3 e articolo 6, comma 1, Carta di Lisbona), di diretta applicazione nell’ordinamento giuridico dello stato membro Ue. Inoltre deve essere “sostanziale”, ossia il contribuente deve poter esporre le proprie difese prima dell’emissione dell’accertamento, con conseguente obbligo per l’amministrazione di chiarire e motivare perché non intende aderire alle teorie difensive del contribuente. Infine il contraddittorio consente al contribuente di illustrare tutti quegli elementi che, se presi in considerazione dall’amministrazione, avrebbero condotto la stessa ad una diversa decisione, senza che possa pretendersi peraltro che il contribuente debba necessariamente dimostrare che nel merito l’ufficio abbia totalmente errato.
Nel caso esaminato, l’amministrazione esegue due accessi presso i locali del contribuente. Il primo accesso è eseguito il 20 luglio 2007. Il secondo è eseguito il 17 ottobre 2007. In entrambi i casi i funzionari dell’ufficio non redigono alcun verbale di chiusura delle operazioni, e l’erario notifica nel dicembre 2007 direttamente avviso di accertamento basato su fatture inerenti operazioni ritenute inesistenti.
Ctr Sardegna, sentenza 271/5/2017

Spetta il credito d’imposta anche per l’assunzione del proprio coniuge
Il contribuente, che intende avvalersi del credito di imposta per incremento occupazionale all’articolo 7 della legge 388/2000), usufruisce ugualmente dell’agevolazione anche nel caso di assunzione del proprio coniuge. Questo perché il quinto comma della norma citata dispone che per accedere al credito d’imposta:
a) il soggetto nuovo assunto debba avere età inferiore ai 25 anni;
b) il soggetto nuovo assunto non debba aver svolto attività lavorativa da almeno 24 mesi;
c) siano osservate le disposizioni contrattuali nazionali;
d) siano rispettate le condizioni relative alla sicurezza sui luoghi di lavoro e sulla salute.
Pertanto è illegittimo l’accertamento tramite cui l’Amministrazione ricupera il credito d’imposta (per oltre 2mila e trecento euro) fondato sul presupposto che l’azienda contribuente (ditta individuale) ha assunto proprio coniuge, perché la norma non preclude l’agevolazione in fattispecie.
Ctr Sicilia, sezione staccata Siracusa, sentenza 3673/4/2017

Niente Ici sull’immobile della fondazione in cui si svolge attività di pubblica utilità
Non paga l’Ici l’immobile di proprietà della fondazione dove viene svolta attività di pubblica utilità (una scuola per infanzia destinata a bambini, i cui famiglie vivono in situazioni di precarietà sociale), e quindi un’attività non avente scopo di lucro. E non rileva la circostanza che la Fondazione percepisca dei compensi a titolo di retta, perché comunque il servizio reso all’interno dell’immobile risponde a bisogni socialmente rilevanti e non ha scopo prevalentemente commerciale, e ciò rispetta il contenuto dell’articolo sette del decreto Ici. Pertanto, è illegittimo l’avviso emesso dall’ente locale in capo alla fondazione che dimostra di non perseguire fini di lucro, anche se la stessa percepisce delle rette.
Nel caso esaminato, l’ente locale accerta Ici relativa al 2010 per oltre 6mila euro in capo a una fondazione in cui veniva svolta attività didattica in favore di minori disagiati.
Ctp Bergamo, sentenza 428/2/2017

Le parti accessorie non rilevano per la qualifica di lusso dell’immobile
Affinché l’immobile sia qualificabile come di lusso, occorre che la superficie effettivamente adibita ad abitazione sia superiore ai 240 metri quadri. In tal caso non vanno conteggiati le parti accessorie rappresentate dai seguenti elementi:
a) murature perimetrali e divisorie;
b) vano scala;
c) vani adiacenti all’abitazione adibiti a magazzino.
Pertanto è illegittimo l’accertamento emesso dall’Amministrazione che recupera maggiori imposte di registro, ipotecarie e catastali, per aver considerato l’esistenza di una superficie dell’abitazione superiore ai 240 metri quadri a seguito dell’inclusione delle parti accessorie all’abitazione, se nel giudizio il contribuente dimostra che nel calcolo escludendo tali parti si arriva a una superficie non superiore ai 237 metri quadri.
Ctp Treviso, sentenza 397/3/2017

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