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Forbice più ampia per il transfer price

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di Luca Gaiani

Per il transfer pricing, valido ogni importo che ricade nell’intervallo di valori individuato dalla analisi di comparabilità. Il futuro Dm attuativo della disciplina dell’articolo 110, comma 7 del Tuir dovrebbe dunque precisare l’impossibilità del fisco di rettificare il reddito se i prezzi cadono in qualunque punto dell’area di libera concorrenza.

L’osservazione è contenuta nel documento predisposto dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti in risposta alla consultazione pubblica avviata dal Mef. Secondo l’analogo documento di Assonime, inoltre, laddove l’Agenzia individui un differente arco di valori, la rettifica dovrebbe fermarsi al primo importo che interseca quello applicato dal contribuente.

Si è conclusa il 21 marzo scorso la consultazione avviata dal Mef sulla bozza di Dm che, in applicazione dell’articolo 110, comma 7 del Tuir, come modificato dal Dl 50/2017, dovrà dettare le linee guida italiane alla normativa sui transfer pricing. Il ministero ha reso pubblici sul proprio sito internet i documenti con le osservazioni ricevute, provenienti, oltre che da associazioni e istituzioni, da studi e professionisti.

Uno degli elementi di riflessione più interessanti, su cui convergono Assonime, Confidustria e Cndcec, riguarda la scelta del metodo regolata dall’articolo 4 del Dm. Abbandonata la gerarchia della circolare 32/1980, si stabilisce però che se un metodo tradizionale basato sulla transazione (Cup, Cost plus e prezzo di rivendita) può essere applicato con uguale affidabilità di uno reddituale (Profit split e Tnmm), occorre adottare uno del primo gruppo, partendo dal Cup. Le linee guida Ocse, invece, prevedono solo una preferenza per questi metodi e non un obbligo, sicché la disposizione andrebbe opportunamente modificata.

Con riguardo all’analisi di comparabilità, si sottolinea poi l’opportunità che, attraverso un’integrazione dell’articolo 3, o meglio con un successivo provvedimento delle Entrate, siano fornite maggiori indicazioni, in particolare sugli aspetti soggettivi (selezione dei comparables), ammettendo anche imprese in perdita, e su quelli temporali, precisando che l’analisi deve essere svolta sulla base dei dati che erano conoscibili al momento dell’operazione (e non invece al momento della verifica). Il documento del Cndcec e quello di Confindustria precisano poi opportunamente che le rettifiche che neutralizzano l’impatto di differenti condizioni tra l’operazione controllata e quella presa a riferimento devono potersi svolgere non solo su quest’ultima (come letteralmente afferma il Dm), ma anche sull’operazione controllata.

Per quanto riguarda l’ambito soggettivo, andrebbe meglio chiarito il concetto di influenza dominante e, come chiede il Cndcec, quello di impresa non residente. Dovrebbe poi confermarsi l’estensione della norma anche all’attribuzione di profitto alla stabile organizzazione estera di impresa italiana (il caso inverso è disciplinato dall’articolo 152 comma 3 Tuir) con la conseguente efficacia dell’esimente da sanzioni per chi traccia i rapporti nella documentazione sui prezzi di trasferimento.

Per quanto riguarda la comparabilità, viene salutato con favore quanto stabilito dall’articolo 6 circa la validità degli indicatori (prezzo, Ebit margin, ecc.) che si collocano all’interno dell’intervallo di libera concorrenza individuato nell’analisi economica. Si supera così, come nota Assonime, la prassi degli uffici di considerare efficaci solo valori collocati sulla mediana.

Dovrebbe però essere ulteriormente chiarito (Cndcec) che ogni punto dell’intervallo è rilevante ed anche che, in caso di uscita dall’intervallo, la rettifica non è «automatica», dovendo valutare le argomentazioni del contribuente (linee guida Ocse 3.61). Un ultimo suggerimento è introdurre regole semplificate (come già in sede Ocse) per talune posizioni, come i servizi a basso valore aggiunto.

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