Controlli e liti

Giudicato esterno con efficacia plurima

di Roberto Bianchi

Nel caso in cui la salvaguardia del socio non sia legittimata da pregiudiziali individuali differenti da quelle argomentate dalla società, il provvedimento giurisdizionale perfezionatosi nel giudizio e afferente ai redditi dell’ente, ammanta ineluttabilmente il «vizio di nullità per mancata integrazione del contraddittorio verificatosi in quel giudizio, ma anche l’identico vizio, specularmente riscontrabile, nel giudizio relativo al socio, e manifesta la sua efficacia in quest’ultimo nei limiti del “dictum” sull’unico accertamento». Ciò è quanto affermato dalla Sez. VI della Corte Suprema mediante lordinanza n. 15460 del 21 giugno 2017. Il contribuente, depositando il proprio ricorso presso la Cassazione, si opponeva alla sentenza Ctr del Lazio denunciando, oltre a un vizio di motivazione della pronuncia impugnata, anche l’omessa considerazione del giudicato esterno originatosi in conseguenza della decisione afferente il ricorso depositato dalla sas, della quale il ricorrente risulta essere socio.

I Giudici del Palazzaccio, accertato il rilevante vizio di motivazione, hanno accolto il ricorso del contribuente esprimendosi anche in merito alla censura afferente all’omessa acquisizione dell’annullamento, con efficacia di giudicato, dell’accertamento attuato nei confronti della Sas. A parere del Collegio la sentenza impugnata avrebbe dovuto rappresentare l’esistenza di un giudicato relativo a un accertamento a monte emesso nei confronti dell’ente. Pertanto, menzionando giurisprudenza della medesima Corte Suprema (Cass. sez. 6-5, ord. 10/11/2015 n. 22942) gli Ermellini, accogliendo il ricorso, hanno sancito che «qualora la difesa del socio non si fondi su eccezioni personali diverse da quelle dedotte dalla società, il giudicato formatosi nel giudizio relativo ai redditi di questa copre necessariamente non solo il vizio di nullità per mancata integrazione del contraddittorio verificatosi in quel giudizio, ma anche l'identico vizio, specularmente riscontrabile, nel giudizio relativo al socio e manifesta la sua efficacia in quest'ultimo nei limiti del “dictum” sull’unico accertamento».

Il giudicato rappresenta una delle garanzie fondamentali della “ragionevole durata” del processo, in quanto inibisce, attraverso il recepimento del postulato della immutabilità della sentenza, la ricerca della verità in una causa eterna.
Il giudicato, ottemperando a tale imprescindibile occorrenza dell’ordinamento, non può essere considerato uno strumento riservato ai diritti delle parti, ma soddisfa uno specifico interesse pubblico, che incontra puntuale estrinsecazione nel prevalente postulato del ne bis in idem, finalizzato a scongiurare lo svilupparsi di pronunce discordanti.
Le suddette osservazioni rilevano anche in ambito tributario, in quanto il giudicato rappresenta un istituto giuridico di valore diffuso, come si può desumere dal contenuto dell’articolo 49 del Dlgs n. 546/1992, il quale esplicitamente asserisce che «alle impugnazioni delle sentenze delle Commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro III, del Codice di procedura civile» e, di conseguenza, risulta applicabile anche al processo tributario la disposizione che regolamenta la fase processuale del passaggio in giudicato, la quale rappresenta un unicum con il disposto civilistico che tratta delle conseguenze effettive della cosa giudicata.
Tuttavia, a fugare ogni dubbio in merito alla rilevanza della res iudicata anche in ambito tributario, interviene l’elemento positivo che disciplina i requisiti del giudizio di ottemperanza e che permette al contribuente di ottenere l’esecuzione dei vincoli scaturenti dalla pronuncia “contra fiscum” divenuta non ritrattabile.

Il giudicato nel processo tributario può coniugarsi, oltre che nel significato convenzionale ed effettivo di “cosa giudicata”, anche nel giudicato qualificato ordinariamente come “implicito”.
La “cosa giudicata” afferisce al dedotto e al deducibile, permanendo salva e impregiudicata esclusivamente la sopravvenienza di elementi e di circostanze sconosciute, verificatesi successivamente alla formazione della medesima.
Generalmente l’influenza del giudicato non afferisce esclusivamente alle motivazioni giuridiche emerse in corso di causa, ma altresì a tutte le altre proposte in fase sia di azione e sia di eccezione le quali, benché non palesate, rappresentino tuttora precedenti sistematici, basilari e ineluttabili della decisione.

L’ordinanza n. 15460/2017 della Cassazione

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