Gli elementi inattendibili legittimano l’induttivo anche con contabilità regolare
L’accertamento induttivo può essere effettuato anche in presenza di contabilità formalmente regolare, purché all’esito di un controllo dell’ufficio emergano elementi di inattendibilità muniti del requisito di gravità, precisione e concordanza. Questo è il principio affermato dalla Suprema corte, peraltro già pronunciatasi sul tema in più occasioni, con la sentenza 2468/2017.
La contestazione
L’agenzia delle Entrate ha provveduto a ricorrere in Cassazione contro una sentenza della Ctr dell’Umbria, che disconosceva i presupposti per un accertamento induttivo effettuato nei confronti di un contribuente attivo nel settore della ristorazione; in particolare, l’ufficio aveva utilizzato lo strumento di rettifica previsto dall’articolo 39, comma 1, lettera d) del Dpr 600/1973, sulla base di un’asserita minor redditività dell’impresa rispetto alla media del settore, tale da giustificare, a parere dei verificatori, la rideterminazione del reddito conseguente a maggiori ricavi da bar e ristorante. Il mezzo presuntivo utilizzato dall’Agenzia si è basato sul conteggio del numero di tovaglioli presenti nel locale ove è ubicata l’attività dell’impresa, presumendone un consumo unitario per ogni pasto e per ogni cliente, nonché dei caffè serviti nel locale.
La pronuncia
I giudici di legittimità si sono pronunciati rigettando il ricorso dell’Agenzia, fondando la propria decisione sul seguente ragionamento: la norma del Dpr 600/1973 consente sì la possibilità di accertamenti analitico-induttivi anche in presenza di contabilità formalmente regolare (come nel caso esaminato), ma devono emergere a latere presunzioni anche semplici, purché gravi, precise e concordanti, da cui possa attribuirsi un maggiore ricavo ed un conseguente maggior reddito al contribuente, pur apparentemente probo dal punto di vista della tenuta delle scritture contabili.
Nel caso esaminato, la Suprema corte ha constatato l’assenza di tali presupposti, essendo in presenza di una contabilità regolarmente tenuta, con la presentazione di uno studio di settore congruo e l’osservazione dell’esito di accessi da parte della Guardia di Finanza da cui non sono emerse irregolarità in relazione all’emissione di scontrini fiscali. Pertanto, nulla che possa supportare quanto statuito dall’articolo 39 del Dpr 600/1973, rendendo la norma inapplicabile al caso in commento e vanificando quanto accertato contestualmente dall’ufficio riguardo a questioni incidentali, quali la contestazione di costi non inerenti e privi di competenza.
Quest’ultimo aspetto va evidentemente collegato a quanto affermato in via principale dalla Suprema corte, che investe ogni attività secondaria svolta nel caso di specie, ovvero che non sussistono i requisiti previsti per la tipologia di accertamento invocato dall’ufficio.