Il cambio di residenza mette sotto esame l’agevolazione fiscale
I Pir vogliono costituire un incentivo alle famiglie verso investimenti produttivi stabili e duraturi, facilitando la crescita del sistema imprenditoriale italiano. È quindi normale che la norma preveda alcuni limiti sia con riguardo sia ai requisiti dell’investitore sia ai contenuti del piano. Vediamo al riguardo i chiarimenti della circolare 3/E/2018 di ieri sui “rapporti” con l’estero.
Stabile organizzazione
Allo scopo di indirizzare il risparmio verso le imprese radicate sul territorio italiano il Pir deve essere investito almeno al 70% in strumenti finanziari di imprese residenti fiscalmente in Italia o di imprese See (Spazio economico europeo) o Ue (Unione europea) con stabile organizzazione in Italia. La circolare dispone che la sussistenza, alla data di effettuazione dell’investimento, dei requisiti relativi alla residenza dell’emittente e all’esistenza di una sua stabile organizzazione in Italia devono essere certificati dall’emittente lo strumento finanziario. Difficilmente, però, l’emittente sarà disponibile a rilasciare tali certificazioni. Non è chiaro perché non siano state considerate valide le informazioni rilasciate dagli information provider specializzati, come già consentito in numerosi documenti di prassi per altri casi (circolari 35/E del 2016, circolare 4/E del 2006; circolare 55/E del 2005; risoluzione 99/E del 2005).
Paesi non collaborativi
Le somme o i valori destinati nel piano non possono essere investiti in strumenti di soggetti residenti in Paesi non collaborativi così come individuati dal Dm 4 settembre 1996. Il mancato rispetto del divieto implica la decadenza dell’agevolazione.
Inoltre è confermato che eventuali utili derivanti da partecipazioni “non qualificate” in società residenti in Paesi o territori a fiscalità privilegiata i cui titoli non siano negoziati in mercati regolamentati non beneficiano dell’esenzione.
Senza residenza in Italia
Un particolare approfondimento è dedicato al caso in cui il detentore di un Pir trasferisca la propria residenza all’estero. Il trasferimento comporta per i redditi - a seconda dei casi “maturati” o “realizzati” dalla data di efficacia del cambio di residenza - il venir meno del regime di esenzione. Peraltro il più delle volte i redditi saranno comunque esenti, in capo al non residente, specie se si sia trasferito in un paese collaborativo.
Per i redditi già realizzati e per quelli maturati fino al momento della perdita della residenza per i quali al momento in cui ha efficacia il trasferimento di residenza non sia ancora maturato l’holding period di cinque anni di possesso il regime di esenzione viene meno, con effetto retroattivo (con conseguente recapture delle imposte), a meno che il soggetto continui a mantenerne la titolarità, nell’ambito di un rapporto ordinario senza cambio di intestazione, fino al compimento del quinquennio. Tuttavia, la detenzione si interrompe comunque nel caso di rimborso o cessione dello strumento Pir conforme prima della decorrenza del quinquennio, senza che sia possibile prolungarla effettuando, come in altri casi, un reinvestimento entro 90 giorni.
Qualora la persona fisica trasferisca nuovamente la residenza fiscale in Italia, conferendo in un “nuovo” Pir gli strumenti che stanno completando il quinquennio, non si applica la recapture. Il conferimento nel nuovo Pir sembra più un onere (per non incorrere nella recapture) che un obbligo. Non viene chiarito se il conferimento nel nuovo Pir avvenga ai valori del portafoglio alla data del trasferimento all’estero o a quelli alla data del rientro (la seconda soluzione sembra più ragionevole). Né viene chiarito se dal “nuovo” conferimento decorra un nuovo holding period.