Il passaporto del fondo non può influenzare il regime fiscale
Dubbi di compatibilità Ue per le ritenute sui dividendi distribuiti ai fondi esteri. Con la sentenza Fidelity (causa C-480/16) pubblicata ieri la Corte Ue ha confermato l’incompatibilità con le libertà fondamentali europee delle legislazioni statali che prevedano regimi fiscali differenziati per i dividendi distribuiti ai fondi d’investimento a seconda che questi siano stabiliti nello Stato di provenienza dei dividendi o in altri Stati. Per la Corte tale differenziazione – nella specie tra il regime di ritenuta applicabile ai dividendi distribuiti da una società danese a un fondo danese e fondi inglesi/lussemburghesi – viola la libera circolazione dei capitali.
La Corte approfondisce la possibile giustificazione del diverso trattamento alla luce della necessità di preservare la coerenza del sistema fiscale. Secondo lo Stato danese la coerenza sussisteva in quanto l’esenzione accordata al fondo d’investimento danese era condizionata alla distribuzione di quote minime di redditi agli investitori. Viceversa, nel caso di fondi d’investimento non residenti tale imposta doveva essere prelevata già in sede di distribuzione del dividendo, non essendovi nei successivi passaggi un sostituto d’imposta danese da coinvolgere nel prelievo. La Corte non accoglie l’argomento e censura la normativa danese ritenendo che l’obiettivo di coerenza avrebbe potuto essere raggiunto con modalità meno gravose: in particolare si sarebbe potuto prevedere un regime di esenzione anche per i dividendi distribuiti a fondi non danesi condizionandolo alla distribuzione di una quota minima di redditi agli investitori e al prelievo sulla stessa di un’imposta equivalente a quella dovuta dai fondi domestici, con onere per i fondi esteri di collaborare con le autorità danesi per verificare la ricorrenza di tale requisito.
Quanto al nostro ordinamento, va rilevato che nel regime successivo al Dl 225/2010 i dividendi distribuiti da società italiane a fondi d’investimento italiani non risultano assoggettati ad alcuna ritenuta (né a tassazione in capo ai fondi, esenti da Ires), mentre i dividendi distribuiti a fondi d’investimento esteri scontano la ritenuta del 26% (o con l’aliquota ridotta di cui alla convenzione internazionale applicabile). La sentenza Fidelity conferma e rafforza i dubbi sulla conformità di tale regime alla libera circolazione dei capitali: infatti, non sembrano esservi ragioni per un trattamento differenziato e ove mai queste fossero indagate guardando anche al regime degli investitori nei due casi, si dovrebbe almeno riconoscere l’esenzione a fondi d’investimento esteri nei limiti in cui questi siano partecipati da investitori che avrebbero titolo a ricevere distribuzioni da fondi italiani senza applicazione di ritenuta. Si pensi, ad esempio, al caso di un fondo d’investimento residente in uno Stato Ue con investitori istituzionali tutti istituiti in Stati white list.
Si auspica, quindi, che il legislatore possa rivedere il regime fiscale dei dividendi distribuiti a fondi d’investimento uniformandolo ai principi europei. Nel frattempo, sembrano aprirsi fondate prospettive per richieste di rimborso da parte dei fondi d’investimento esteri delle ritenute sui dividendi subite in violazione della libera circolazione dei capitali.